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<p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify"><strong>LA LETTERA DI UNA
MADRE</strong> | «Caro Matteo, vittima e carnefice insieme della
tragica strage salentina, scrivo a te anche se forse tu non puoi
sentirmi, non puoi leggermi. Ma scrivo a te, e attraverso te a tanti
tuoi coetanei che rischiano la vita spingendo un acceleratore sulle
strade, perché spero che da questo dialogo muto e unilaterale
arrivino le risposte a tante domande che resteranno nell’aria e nel
cuore forse per sempre. Correvi su una strada improbabile, al volante
di una Mini, piccola quanto veloce. Il tachimetro si è fermato
segnando 160 orari. Nei tuoi pochi anni di vita, e pochissimi di
patente, ti sarai sentito dire mille volte di non correre, di non
rischiare la vita, che il pericolo è dietro l’angolo. Tua
madre e tuo padre ne avranno passate di notti insonni ad aspettarti,
magari facendo finta di dormire, finché non hanno sentito
girare le chiavi nella toppa. Una bella notte quella chiave non ha
girato ed ora non girerà più. Non sei tornato e insieme
a te non sono tornati altri sei giovani come te, mentre un’altra
sta ancora lottando fra la vita e la morte. Il conducente eri tu, la
«colpa» presumibilmente è tua. La tua famiglia è
impazzita dal dolore e continuerà a impazzire per il resto dei
suoi giorni, insieme a loro stanno impazzendo le famiglie degli altri
ragazzi che sono volati in cielo insieme a te. Ora ci saranno
inchieste giudiziarie, avvocati, assicurazioni, prove e controprove,
cause, risarcimenti danni e tutto quello che ne consegue. Tu o
qualcuno alla fine risulterà colpevole ma questo al momento
credo che sia ininfluente.</p>
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<p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify">Quello che mi viene in
mente in questo momento è una frase del film «Il
silenzio degli innocenti», quella in cui il «mostro»
Hannibal Lecter, che minacciava di uccidere la figlia di una illustre
donna politica, le chiede gelidamente e cinicamente se sente ancora i
morsi di quando l’aveva messa al mondo, i dolori del parto, la
dolcezza dei momenti in cui l’aveva allattata, dolorosa più
del dolore stesso. Bene, quei ricordi, quei dolori, quei morsi
resteranno per sempre nell’animo della tua mamma, urleranno di
dolore nel suo animo e in quello di tutte le altre mamme dei ragazzi
morti, insieme al vuoto della vostra assenza, ogni secondo della loro
vita, ogni secondo in cui penseranno che non ci siete più. Ora
però, mentre scrivo, di una cosa sola sono certa: tu non
volevi questo, tu non potevi volere questo. Tu, mentre correvi
incosciente e spensierato eri lontanissimo da questi pensieri, certo
non volevi straziare di dolore la tua famiglia, non volevi la
disperazione della tua mamma, non volevi seminare tanto dolore
intorno a te, non volevi far del male ai tuoi amici e di certo non
volevi buttare via la tua vita. Non pensavi in quel momento che per
quella tua corsa incosciente di un attimo avresti compromesso il
«tuo» futuro, il «tuo» domani, tutta
l’allegria, la spensieratezza dei tuoi anni, tutte le serate
allegre che sarebbero venute, il sole, l’amore, le scorribande in
spiaggia. Non ci hai pensato davvero o non avresti corso di sicuro.</p>
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<p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify">In quel momento non hai
sentito nelle orecchie tutti gli inviti alla prudenza e le
raccomandazioni «pallose», le sollecitazioni alla
responsabilità e a pensare che la fatalità è
sempre dietro l’angolo. E per favore non rispondermi che la colpa è
nostra, che i primi colpevoli siamo noi, la società che vi dà
falsi valori, le auto veloci che vi mettiamo nelle mani, i modelli
educativi che vi arrivano da tutti i telefilm e da tutti i cartoni
animati del mondo che vi dipingono una vita da invincibili, sempre
«no limits». Noi siamo colpevoli della tua stessa colpa:
dell’incoscienza di essere andati dietro con troppa leggerezza a
benessere e progresso e ricchezza e falsi miti, senza capire che
tutto questo, prima o poi, lo avremmo pagato con il sangue dei nostri
figli. Noi abbiamo pensato ingenuamente che le nostre prediche
«pallose», le nostre «paranoie» fossero
sufficienti, abbiamo dimenticato che alla tua età eravamo
sordi ad ogni raccomandazione e che, a nostro modo, abbiamo corso i
nostri rischi, più piccoli e diversi ma pur sempre rischi, e
in più larga percentuale ci è andata bene, perché
siamo qui a raccontarli. Ora però, da mamma che soffre insieme
alla tua mamma e a tutte le mamme che hanno perso i loro figli
adorati, mi auguro per te una cosa sola: che dovunque tu sia in
questo momento, sia in un mondo fatto davvero di luce o di niente, in
un posto in cui non possa raggiungerti il rimorso di aver spezzato la
tua vita e quella dei tuoi amici, in un posto dove morire non
rappresenta la tragedia che rappresenta per noi, dove non c’è
rimpianto per quello che si è lasciato, perché se così
non fosse ora stai impazzendo anche tu, ancora più
dolorosamente e più crudelmente di noi che siamo qui a
piangerti e a piangervi.</p>
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<p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify">Te lo auguro con tutto il
mio cuore ragazzo mio. Perché la condanna peggiore che tu o
chiunque sia colpevole di tanta tragedia potrebbe avere, oltre quella
di assistere impotenti al nostro strazio, sarebbe quella di stare da
qualche parte a guardare questa vita bella e brutta che continua a
scorrere sotto di voi e senza di voi e pensare con rabbia e rimpianto
e rammarico: «Quanto sono stato stronzo, avessi rispettato la
legge, i limiti di velocità, ascoltato le pubblicità
progresso, letto gli articoli sui giornali, i cartelloni stradali.
Ora saremmo tutti vivi e avremmo ancora tanto di cui godere. Quanto
sono stato stronzo, avessi dato retta a mamma». Ieri era
ferragosto e tu non eri al mare, non ci sarai mai più. Vacci,
se puoi, insieme a tutti i giovani del mondo, godi con loro, tieni il
loro piede alla giusta pressione sull’accelleratore, i loro occhi
sulla strada, le loro coscienze vigili. Parla ai loro cuori,
racconta la tua esperienza, digli di non fare la tua fine. E
comunque, dovunque tu sia, buona fortuna, ragazzo mio».</p>
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