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LECCE | In caso di episodi di maltrattamenti delle donne sul lavoro il diritto al risarcimento dei danni va riconosciuto anche ai Consigli per le «Pari opportunità». È il principio stabilito dalla sentenza n. 16031 del 16 aprile scorso, della VI Sezione della Corte di Cassazione che ha riconosciuto la domanda risarcitoria di una consigliera delle Pari opportunità del Piemonte per i maltrattamenti subiti da parte di 5 hostess in servizio presso l'aeroporto di Caselle di Torino da parte di un «supervisore».
La questione portata innanzi alla Giustizia, trae origine da una storia di vessazioni seriali con tanto di ricatti sessuali da parte del supervisore aziendale imputato e poi condannato per il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 del codice penale.
Con una sentenza innovativa, la Suprema Corte ora ha anche riconosciuto la qualità di parte civile e quindi anche di danneggiato, ai Consigli per le «Pari opportunità (nel caso di maltrattamenti commessi nei confronti di più lavoratori), con conseguente possibilità di chiedere il risarcimento del danno. Principio che i Giudici di Legittimità ritengono possa essere esteso anche per il sindacato di appartenenza del lavoratore vittima del maltrattamento. La Corte, confermando la sentenza del gip e respingendo il ricorso del supervisore che aveva argomentato che la consigliera regionale per le Pari opportunità non avrebbe avuto titolo per costituirsi parte civile e per chiedere i danni subiti dalle hostess, non solo ha confermato la condanna per il reato di maltrattamenti, ma ha anche affermato il principio in epigrafe per cui il consigliere di pari opportunità può chiedere i danni se una donna viene maltrattata sul lavoro in quanto si tratta di un modo per rafforzare gli strumenti per realizzare la pari dignità dei lavoratori negli ambienti di lavoro e impedire che si crei un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo». Quanto ai sindacati la corte considera applicabile lo stesso principio: trattandosi di organismi «rappresentativi degli iscritti vittime di violenza sessuale commessa sul luogo di lavoro, possono costituirsi parte civile e ottenere il risarcimento del danno» in quanto il maltrattamento sul lavoro «lede l'integrità psicofisica del lavoratore e provoca un grave turbamento che viola la personalità morale e la salute della vittima, compromettendone la stabilità psicologica e il rapporto con la realtà lavorativa e la percezione del luogo».
Pertanto, il componente del Dipartimento Tematico «Tutela del Consumatore» di Italia dei Valori, Giovanni D’Agata, impegnato in prima persona da anni nella lotta contro il mobbing sui luoghi di lavoro, esprime sincera soddisfazione per il riconoscimento da parte della Suprema Corte, di un principio importante che rafforza le tutele e le garanzie dei lavoratori che saranno senza alcun dubbio agevolati e incoraggiati dalla presenza, fattiva e impegnata del sindacato nei processi contro le ingiustizie ed i soprusi sui luoghi di lavoro.