GALATINA | È polemica sui capitelli che il sindaco di Galatina, Sandra Antonica, vanta di aver restituito alla città. Capitelli che, come riportammo in un articolo sulle pagine di Reteluna.it, erano la risposta a quanto l'avevano accusata di essere stata disattenta nei confronti dei beni culturali della città (http://lecce.reteluna.it/portale/articolo.php?code=3556). I capitelli sono quelli del chiostro del Palazzo della Cultura, intitolato a Zeffirino Rizzelli, che, sottolineò il sindaco, «sono stati riportati alla forma originaria». Intanto, ora, arriva una replica da parte di un galatinese, Stefano Congedo, secondo cui restituire i capitelli significa «rimediare a uno scempio che comunque permane». E allora, dice, «mi sembra giusto che si sia cercato di rimediare come si è fatto, ma non ne gioirei, e sarei sempre ed irrimediabilmente rammaricato per uno scempio che permane pur nascondendosi alla vista».
I capitelli restaurati costituiscono comunque un handicap, spiega Congedo, perché «è come se chi dopo aver perso un arto ed averlo sostituito con una protesi, gioisse dell’apparire normale». La polemica, d'altronde, va avanti anche verso il sistema sperimentato che è quello dello scolo dell'acqua, fatto con tubi di rame, in barba alla ristrutturazione, che in qualche modo vuole ricalcare i segni dell'antichità. Per questo motivo, Congedo rivolge la sua critica: «I nuovi scoli dell’acqua altro non sono che mastodontici tubi di prezioso rame che si esibiscono da protagonisti in barba a capitelli, chiostro, basolato in pietra che non c’è più e la storia ivi narrata tutta, il sindaco risponde, forse “esperto di restauro”, che il nuovo intervento si deve distinguere dal vecchio, ma allora perché non deve distinguersi anche il restauro dei capitelli?
Ma poi, gli scoli dell’acqua da quali altri dovrebbero distinguersi visto che non ve ne sono altri? Forse sarebbe stato meglio, oltre che economico ed opportuno, un umile doccione che ripetesse il vecchio meccanismo di convogliamento delle acque». Un doccione per il sistema di scolo delle acque, dunque. Ma non è tutto, perché la critica va anche al soprintendente, architetto Ruggero Martines: «Inoltre - sottolinea - pure qui sembrerebbe non valere il suo succitato principio della differenziazione e distinguibilità del nuovo intervento sul vecchio.
Bisogna dire che la soprintendenza di Lecce avrebbe da chiarire più di un comportamento anomalo riguardo non solo alla approvazione della scala, che in ultimo pare sia stata avallata dal “sommo” soprintendente regionale Ruggero Martines, architetto probabilmente incompreso, dalle idee assolutamente autonome e rivoluzionarie, delle quali sinceramente credo nessuno ne abbia ancora conosciuto il manifesto (ammesso che ve ne sia uno).
Molto strano il comportamento della soprintendenza di Lecce quando per esempio accadeva questo: la soprintendenza di Bari si raccomandava di passare gli impianti sotto la pavimentazione, cosa facevano i progettisti? Passavano gli stessi sottotraccia nelle antiche volte, con i dissesti che ne potranno derivare in futuro, andando contro il loro stesso presunto “progetto” che doveva essere di conservazione; la soprintendenza di Lecce da me sollecitata non rispondeva né a questo allarme né ad altri.
Vi sono state variazioni al prospetto, sventramenti di un pilastro, sparizione di una colonnina originale, impianti di illuminazione che creavano danni a delle rifiniture in pietra, pavimentazioni divelte, una vite bicentenaria autoctona ormai insostituibile recisa alla base, lo stile dei servizi igienici moderno e con mosaici industriali, con tendenze a stili nord-africani, l’illuminazione esterna pare sia di quelle usate per edifici moderni recanti inutili fasci scenografici per altro in contrasto con le leggi regionali (Legge regionale 23 novembre 2005, numero 15; inquinamento luminoso) ecc. ecc».
Congedo insiste ancora e ribadisce: «Il vanto del sindaco è quindi inopportuno, in quanto siamo in presenza di un micro intervento (a fronte del macroscempio dovuto all’approccio progettuale tutto) che non può annullare ma celare, non consentendo vanto alcuno. Tutti gli architetti dovrebbero aver in mente tra i ricordi degli studi di storia dell’architettura moderna la Carta di Atene (1931) (quindi anche il soprintendente regionale e purtroppo non quello di Lecce visto che trattasi di ingegnere). In essa, architetti esperti di fama internazionale, indicano gli approcci alle diverse problematiche in generale dell’urbanistica e del restauro; mentre le teorie relative alla prima sono certo obsolete, fondamentalmente gli stessi sono rimasti i principi, anche nelle Carte successive, per quel che concerne appunto il restauro».