MELISSANO | C'è anche un altro leccese fra gli otto arrestati dell'operazione «Michelangelo». Operazione che, dopo circa un anno dall'avvio del primo filone d'indagine (quello dell'operazione «Gutemberg»), è giunta a un'ulteriore svolta. Perché questa notte, i carabinieri hanno arrestato otto persone e chiuso il cerchio per quella «fabbrica dei soldi» che da Melissano avrebbe dovuto produrre denaro da destinare alle altre regioni italiane, ma anche agli altri Paesi. Indagini meticolose coordinate da Roma e da Napoli, ma con l'ausilio operativo dei carabinieri del Comando provinciale che a Melissano, negli stabilimenti della Sud Graf, mercoledì 7 maggio dello scorso anno, arrestarono in flagranza di reato con ordinanze di custodia cautelare, cinque persone che, a vario titolo, avevano collaborato alla realizzazione dell'associazione per delinquere.
Banconote false che, in parte, sarebbero rimaste nel Salento, ma in larga misura (circa 10 milioni di euro in banconote con taglio da 50) avrebbero dovuto raggiungere il centro-sud della penisola (Roma e Napoli), con ramificazioni anche in altri Paesi dell'Unione Europea, come Svizzera e Austria, ma anche le città dell'Est. E ora che le indagini sono state chiuse, i carabinieri hanno ottemperato agli arresti della Procura di Napoli, titolare dell'inchiesta che ha messo alla luce la più grande operazione di produzione e distribuzione di banconote false d'Europa.
La banda di falsari, c'è da dire, non era del Salento. Anche se il leccese trovato a Cosenza ne era parte integrante.
Il leccese, Giuseppe Giaccari, 50 anni, originario di Galatina, ma domiciliato a Cosenza, si trovava lì per lavoro. Lavorava, infatti, all'interno di un villaggio turistico, e secondo i carabinieri avrebbe utilizzato la sua attività che svolgeva all'interno della struttura ricettiva per diffondere le banconote false. L'operazione che ha portato agli arresti è stata condotta dal più piccolo reparto operativo dei carabinieri d'Italia, quello del Nucleo operativo antifalsificazioni monetarie (Noam) di Roma (alla guida del capitano Gaetano Terrasini) e dai militari della Compagnia di Casarano, (diretti dal capitano Dario Vigliotta).
Nel mese di maggio dello scorso anno, in manette finirono Giancarlo Camponeschi, 45enne, di Roma, già noto alle forze dell'ordine per via dei suoi trascorsi sempre nell'ambito della falsificazione delle banconote. Assieme a lui Giovanni Gianfreda, 27enne, di Melissano, titolare proprio della Sud Graf nella zona industriale del paese. E poi ancora, Alberto Alfieri, 45 anni, di San Cesario, titolare di una catena di supermercati, che avrebbe invece dovuto riciclare il denaro, Rosario Fioretti, ex ristoratore, 61enne, originario di Brindisi, ma che vive con la moglie a Carmiano da circa quindici anni e Luca Manganaro, di 22 anni, di San Cesario, il più giovane del gruppo.
Le indagini, accuratissime, sono state realizzate con tutti i mezzi a disposizione. Visto che i carabinieri hanno avuto non poche difficoltà nell'individuarli e seguire le loro mosse, hanno agito con l'ausilio delle tecniche più notevoli di individuazione e ascolto. Quello delle intercettazioni, senza dubbio, ma anche della rilevazione tramite Gps, localizzazione, osservazione controllo pedinamento, e col contributo di altre informazioni di cui, a vario titolo, le forze dell'ordine entravano in possesso.
L'operazione dapprima prese il nome di «Gutenberg» (dal nome del tipografo inventore della stampa) poi fu ribattezzata Michelangelo, per il prosieguo dell'attività investigativa. Nell'ultimo episodio, quello di stanotte, i carabinieri del Noam hanno chiuso il cerchio attorno a un cittadino originario di Napoli e residente a Roma, un altro originario di Lamezia Terme ma anch'esso di Roma, due di Napoli (uno di questi è il finanziatore del progetto), uno di Caserta, uno di Catanzaro, un altro di Reggio Calabria, e infine del leccese, 52enne, di Galatina ma domiciliato per lavoro a Cosenza.
I MACCHINARI | Tecnologie efficienti di stampa offset, che avrebbero potuto stampare a larga tiratura quelle banconote da 50 euro. Sono stati sequestrati dai carabinieri già lo scorso anno, quando fecero il blitz all'interno del capannone adibito a stabilimento. Macchinari di una notevole velocità produttiva che avevano dato alla luce circa 50mila fogli contenenti ciascuno quattro banconote false da 50 euro non ancora tagliate. Per un valore complessivo, che si aggirava attorno ai 10 milioni di euro.
Il capannone fu reso inaccessibile. Le finestre furono oscurate, e i macchinari che mancavano venivano portati all'interno del capannone senza però ottemperare ad acquisti tradizionali. Lì c'era davvero tutto l'occorrente per la simulazione delle banconote vere, dai lavori di prestampa, alla stampa, a quelli di rifinitura. La stampa veniva effettuata in serie, utilizzando le professionali «Heidelberg» a quattro colori, un bromografo che serviva per incidere le lastre tipografiche, una macchina «Heidelberg Stella» per l’applicazione a caldo di patch olografici (l'euro è una banconota che ha l'ologramma), oltre che macchine tagliacarte, e poi lastre e pellicole trasparenti per imprimere l'immagine delle banconote da 50 euro.
Banconote lavorate con dovizia di particolari, e di buona qualità, come spiegò Martin Mund, del Centro di analisi sulle contraffazioni della Banca centrale europea, che raggiunse Lecce da Francoforte per valutare il tipo di contraffazione.
Al lavoro svolto dalla Procura di Napoli, partecipò attivamente la Procura di Lecce, con l'interesse del procuratore capo Cataldo Motta, e del procuratore aggiunto di Lecce, Ennio Cillo.