LECCE | Non ci fu alcuna simulazione di reato da parte di don Cesare Lodeserto, l'ex direttore del Centro di permanenza temporanea di San Foca «Regina Pacis».
La Cassazione ha annullato la condanna a otto mesi di reclusione per avere denunciato, «falsamente», di avere ricevuto un sms in cui c'era scritto «Sei morto».
Come si ricorderà, nel 2001 si diceva che don Cesare avesse inviato al proprio telefono cellulare, ma probabilmente qualcuno lo fece per lui, un sms contenente minacce di morte. In quel periodo stava per essergli revocata la scorta che, dopo la minaccia simulata, gli fu concessa nuovamente. Ora, la Sesta sezione penale della Corte Suprema di Cassazione con una nuova sentenza, (la 13109) ha annulato la sentenza della Corte d'appello di Lecce, quella che arrivò nell'aprile 2008, «perché il fatto non sussiste» sulla base del fatto che «non è stata presentata querela».
Ad ogni modo, la Suprema Corte ha sottolineato che «la genericità della minaccia e il contesto in cui avveniva (Lodeserto, per l'attività che svolgeva, era stato sovente oggetto di minacce) giustificavano già di per sé un giudizio di non idoneità del messaggio a generare nel destinatario un turbamento di particolare entità». E la conferma di questo, aggiunge piazza Cavour, «si ricava dallo stesso tenore della denuncia, in cui don Cesare Lodeserto precisava di non essersi impressionato per il messaggio telefonico, a cui non aveva dato peso».
La vicenda giudiziaria legata a don Cesare si interruppe con l'annullamento della prima condanna, sempre in terzo grado di giudizio, riportata dall’ex responsabile del centro di accoglienza «Regina Pacis» (http://lecce.reteluna.it/portale/articolo.php?code=2600). Nel maggio del 2005, il gup Annalisa De Benedictis accolse la richiesta del pubblico ministero Paola Guglielmi, infliggendo otto mesi di reclusione al prelato, uomo simbolo dell’accoglienza nel Salento, con l’accusa di simulazione di reato. Si sarebbe fatto inviare, dai suoi stessi collaboratori, secondo la tesi accusatoria, falsi messaggi con minacce di morte per ottenere la proroga del servizio di scorta personale. Una sentenza che fu confermata pure in Appello.
Pur potendo annullare con rinvio, la Suprema Corte andò oltre convinta che il materiale probatorio non avrebbe potuto giustificare una sentenza di condanna. Inoltre, hanno rimarcato gli avvocati, «l’ambiente giudiziario leccese non sarebbe sereno quando si tratta di giudicare don Cesare».