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GALLIPOLI | Non ci fu organizzazione finalizzata allo spaccio nell'operazione «Cold Fish». O quanto meno, non ci fu per alcuni di loro, in base a quanto disposto dal Tribunale del Riesame. Il provvedimento depositato ieri dal Tribunale della libertà di Lecce (dal presidente Vincenzo Scardia, relatrice Ilaria Solombrino), ha sancito l'estraneità di certi fatti degli assistiti degli avvocati Pompeo Demitri, Luigi Suez e Angelo Ninni. (http://lecce.reteluna.it/portale/articolo.php?code=3150).
Il primo ad essere ritenuto estraneo è stato Alessandro Vincere, 36enne, di Gallipoli, che fu arrestato il 18 marzo del 2005 con l'accusa di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, poi il 3 febbraio del 2006 con la stessa accusa, e infine per l'ultimo episodio, quello legato all'operazione concretizzata dai carabinieri della Compagnia di Gallipoli.
L'operazione fu avviata dai carabinieri per smantellare una presunta organizzazione di trafficanti di droga nel Salento. Tanto che ci furono otto arresti. La banda, secondo la prima fase investigativa, avrebbe gestito i parcheggi abusivi di auto a Gallipoli reinvestendo i proventi illeciti nello smercio di droga. Nel corso dell'operazione sono stati sequestrati più di 3 chili di droga di vario genere, hashish, cocaina ed eroina, nonchè un mitragliatore kalashnikov con due caricatori e 49 cartucce di fabbricazione russa. Un'organizzazione criminale rivolta al mercato della droga, che talvolta grazie all'ausilio di affiliati insospettabili, sarebbe riuscita a entrare nelle attenzioni della «Gallipoli bene».
Alessandro Vincere (difeso dall'avvocato Luigi Suez) è stato ritenuto estraneo a qualsiasi imputazione. Quando fu arrestato, il 36enne fu imputato per spaccio di hashish e marijuana, cioè classificato all'interno di una catena in cui lui sarebbe dovuto essere la ramificazione finale.
Il provvedimento, ora, va ad aggiungersi all'ordinanza da parte del giudice per le indagini preliminari, Ercole Aprile, che aveva escluso la partecipazione ad associazioni criminali di stampo mafioso. Allo stesso modo, anche il Tribunale ha stabilito che non c'è alcuna associazione dedita allo spaccio di stupefacenti.
Fra gli altri, novità anche in merito alla posizione di Stefano Bello (difeso dagli avvocati Demitri e Angelo Ninni) e Alfredo Sessa (difeso da Suez), 31enni, Marco Damiano Spada, 32enne (difeso dagli avvocati Elvia Belmonte e Massimo Cavuoto) e Alessandro Capone, 36enne, originario di Mersighen, ma residente a Taurisano (difeso dall'avvocato Giuseppe Castelluzzo). Questi ultimi sono stati rimessi in libertà, con obbligo di dimora nel comune di residenza.
In custodia cautelare (ma per fatti risalenti a cinque anni fa, e per episodi criminosi non addebbitabili a loro, fanno sapere), invece, restano Fabio Della Ducata, 43enne, di Gallipoli (che fu uno degli otto interessati dall'ordinanza), Francesco Freddo (difeso dall'avvocato Stefano De Francesco), 42 anni (arrestato e condannato una prima volta a un anno e sei mesi, pena sospesa), e Luigi Tricarico, 41enne, e di Gallipoli (difeso da Demitri).
Esigenze cautelari che, a detta degli avvocati difensori, appaiono deboli, e per diversi motivi. Sia per la fragilità degli indizi a carico, come pure per il lungo tempo trascorso (cioè cinque anni dai fatti contestati) e in mancanza di nuovi reati a loro attribuiti.
Ora, l'operazione ne esce ridimensionata. Secondo gli avvocati difensori, che spiegano il provvedimento del Riesame, non ci fu alcuna partecipazione ad associazioni criminali, tantomeno mafiose, non ci fu un racket nei parcheggi; è da escludere ogni collegamento con fatti di sangue, non c'è alcuna associazione finalizzata allo spaccio.
«A costoro non è stata risparmiata neppure l'intrusione delle telecamere in casa, mentre nottetempo venivano arrestati per essere condotti in carcere. E questo ci è parso inutilmente lesivo della dignità dei cittadini indagati e delle loro famiglie».
Ma nuovi risvolti potrebbero arrivare a corroborare quanto già stabilito dal Riesame. Gli avvocati, infatti, faranno ricorso in Cassazione. C'è da dire, poi, che gli avvocati contestano il metodo col quale certi strumenti di investigazione sono stati utilizzati. Come ad esempio le dichiarazioni. Una di queste, in particolare, risale a cinque anni fa. Lì ci sono parole di una persona deceduta dopo sei mesi (di un tossicodipendente affetto da un'intossicazione cronica per alcol e droga, e affetto da Hiv). Su queste ci sarebbero dei vizi di forma. «Certe dichiarazioni - institono gli avvocati - dovrebbero essere utilizzate dinanzi al giudice, e vagliate dal pm e dagli avvocati difensori».