ROMA | Respinto il ricorso in Cassazione avanzato dall'avvocato del ministro Raffaele Fitto, per «sbloccare» 500mila euro sequestrati. Lo ha deciso la Sesta sezione penale della Cassazione, che secondo l'avvocato del ministro agli Affari regionali, con questa decisione non avrebbe preso una decisione chiara. L'inchiesta della magistratura prese il via dopo il 2004, quando, stando a quella che è l'ipotesi accusatoria, dai conti dell'imprenditore romano Gianpaolo Angelucci ci sarebbe stato un movimento «sospetto» di denaro verso i conti del movimento «La Puglia prima di tutto».
La Sesta sezione penale, dunque, ha respinto il ricorso contro l'ordinanza del Tribunale della libertà di Bari, che invece confermò, lo scorso 7 luglio, il sequestro dei 500mila. Gianpaolo Angelucci, all'epoca dei fatti, era coordinatore regionale del partito in Puglia. Lo strano e sostanzioso provvedimento è scaturito durante la fase di indagine, proprio nell'inchiesta su presunte tangenti che ci sarebbero state negli appalti della sanità pugliese.
L'avvocato di Raffaele Fitto, Francesco Paolo Sisto (eletto parlamentare con Forza Italia), alla fine dell'udienza, parlando con i giornalisti ha spiegato che il bilancio de «La Puglia prima di tutto» fu certificato dalla Corte dei Conti. Pertanto ha chiesto che la somma fosse dissequestrata. Il Procuratore Generale della Repubblica, invece, sottolinea Sisto, «chiese l'inammissibilità del ricorso della difesa». «Una decisione salomonica - spiega ancora l'avvocato difensore - quella fatta dalla Sesta sezione penale della Corte di Cassazione». Sisto spiega che si tratta di denaro, di 500mila euro, «nei confronti de 'La Puglia prima di tutto', e non di Raffaele Fitto. La somma dei 500mila euro va restituita al ministro perché all'imprenditore Angelucci è stato sequestrato tutto l'importo fonte di illecito». E poi conclude: «Ribadisco la mia assoluta ininfluenza di tale decisione sul merito del processo, trattandosi di questione del tutto indipendente dall'accertamento delle responsabilità. Stupisce - afferma tuttavia - che per una questione squisitamente tecnica, il Pg di udienza abbia addirittura reso personali dichiarazioni agli organi di stampa. Una cosa inusuale per le udienze di Cassazione e comunque, quanto meno, inopportuna».
La Sesta sezione penale della Cassazione, che si è dovuta dunque esprimere in merito sulla complessa vicenda giudiziaria cominciata nel giugno di due anni fa, ritiene legittimo il provvedimento di sequestro disposto dal Tribunale del riesame. Ora il ministro Fitto è condannato al pagamento anche delle spese processuali.
Il sostituto procuratore generale, Oscar Cedrangolo, chiese addirittura «l'ampliamento del titolo di sequestro», e ci fu un parziale accoglimento. Ora Fitto è indagato per corruzione con l'accusa di aver preso una tangente per sostenere il suo movimento politico.