LECCE | Le chiamano Bikaloro, un gravissimo insulto che vuol dire «esseri privi di ogni maturità» sono le donne non escisse, le donne bambine. Bikaloro è una campagna di comunicazione arrivata anche a Lecce rivolta alla comunità tutta e in particolare ai migranti già residenti in Italia e nello specifico nella regione Puglia. Informazione e sensibilizzazione semplice e chiara sui rischi delle Mgf e sui diritti delle donne e delle bambine. Il progetto della Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids con sede a Lecce è organizzato in collaborazione con Sportello Immigrazione Salento e Istituto di Culture Mediterranee della Provincia di Lecce. Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Lecce, Assessorato al Mediterraneo della Provincia di Lecce, Asl Le, Ordine dei Medici e Chirurghi di Lecce, Cinit Cineforum Lecce, Senza Frontiere soc. coop., Paz soc. coop., Ass. culturale albanese Vellazerimi (Albania), Ass. cittadini Somali ed Etiopi, Arte Brasil, Mijikenda Cultural (Kenja), Ass. Centro Multiculturale Etnos, Ass. Guy Gi Il Baobab, Associazione Diaspora.
Sono almeno 130 milioni le donne e le bambine nel mondo che hanno subìto mutilazioni genitali e solo in Italia si calcola che siano più di 30mila. A poco più di due anni dalla legge numero 7 del 9-01-2006 - Legge Consolo, che vieta le mutilazioni genitali femminili (Mgf) è difficile fare un bilancio sulla sua efficacia. Non esistono dati. Ma per combattere il fenomeno è stato firmato un Protocollo d’intesa tra il Ministero della Salute e la Federazione dei medici pediatri. «La legge ha fatto conoscere i rischi in Italia delle mutilazioni - spiega Aldo Morrone, primario del San Gallicano di a Roma - e ha avuto un effetto positivo. Il problema rimane quello delle vacanze: le bimbe vanno a trovare le nonne e tornano mutilate».
La legge punisce, con
una pena fino a 10 anni, chi pratica questa usanza. «Ma è un
problema nascosto e non facile da rilevare», conferma Armando
Pullini, esperto dell’Ismu (Iniziative e studi sulla
multietnicità). Secondo una ricerca Ismu in Lombardia, curata dallo
stesso Pullini, sono quasi 120 le donne a Milano e un centinaio a
Brescia che sono state sottoposte a mutilazioni dei genitali. «Un
quarto delle egiziane e la totalità delle somale che vivono in
Lombardia sono state sottoposte a questa pratica», si legge.
«L’integrazione favorisce la scomparsa del fenomeno, ma con i
nuovi sbarchi di immigrati non sappiamo che tipo di situazione si
presenterà», conclude il ricercatore.
«Abbiamo visto che le somale che vivono qui non eseguono il taglio sulle figlie», dice Rosalia Lombardi, dell’Università di Milano, fra gli autori della ricerca Ismu. «La questione è diversa per gli egiziani, che portano le figlie a casa per la mutilazione. Ma, in Italia, in 10 anni abbiamo raccolto solo due casi di bimbe appena mutilate e poi portate in ospedale». Restano, dunque, i molti casi di donne mutilate in patria che poi si rivolgono alle strutture sanitarie per farsi curare. Per affrontare il problema il ministero della Salute ha dettato le linee guida per gli operatori sanitari.
«Le mutilazioni portano grossi rischi per la salute», spiega il dottor Morrone, che dirige l’Istituto italiano per la salute delle popolazioni migranti (Inpm). «Aumentano le possibilità di contrarre malattie e le infezioni mortali. In caso di parto la mamma e il nascituro sono in grave pericolo. Aumentano anche i tumori». Al San Gallicano dal 2005 al 2006 sono state visitate 16mila donne provenienti da paesi a maggior rischio Mgf. Il 70,9 per cento, fra i 18 e i 46 anni, era stato mutilato. Quasi il 20 per cento ha fatto richiesta di intervento ricostruttivo. «In passato i pediatri vedevano arrivare genitori che chiedevano di mutilare le figlie - dice Nadege Candeh, mediatrice al Policlinico di Palermo - medici non accettavano e qualche mese dopo le bimbe tornavano mutilate e con un’infezione. Questo ora non succede più, ma serve più informazione. Ho seguito una donna mutilata che doveva partorire. Non voleva farsi visitare. Si sentiva diversa, perché mutilata». Fondamentale aiutare le immigrate a trovare una via d’uscita. «Al San Gallicano organizziamo la cerimonia del the in cui viene dato un regalo alle bimbe - conclude Aldo Morrone - un modo per sostituire il taglio con un rito diverso. Le donne immigrate si fanno convincere. E’ più difficile farlo capire agli uomini».
CONFERENZA STAMPA
4 marzo ore 11 a Palazzo Adorno
della provincia di Lecce – conferenza stampa di presentazione della
campagna di comunicazione
CONVEGNO
4 aprile ore 10 a Lecce - Convegno
«Bikaloro» c/o Museo Sigismondo Castromediano
CINEFORUM CINEFORUM CINIT C/O CINEMA SANTA LUCIA
vedi
cartolina
IL MANIFESTO - CAMPAGNA AFFISSIONI REGIONALE
fotografia
Paolo Margari
grafica Roberta Cleopazzo
dall’uno al 12 marzo
affissioni nei capoluoghi di provincia di Lecce, Brindisi, Taranto,
Bari e Foggia.
Ecco una testimonianza:
Sì, avevo cinque anni
quando le donne del villaggio mi dissero che saremmo andate nella
foresta. Con me c’era un intero gruppo di ragazzine, dalla mia età
sino ai 16 anni: eravamo tutte felicissime, perché ci avevano detto
che era un pic-nic. Ma non lo era. Più del dolore e del pianto
ricordo lo shock dell’aver compreso che ci avevano ingannate.
Sapevo che avrebbero tagliato via qualcosa da me, ma non sapevo cosa.
Durante il percorso le donne erano molto gentili, ci regalavano dolci
e così via: era il loro modo di chiedere perdono, ma era anche il
loro modo di vendicarsi, il ripetere su di noi un crimine che loro
avevano subito. Solo più tardi, nell’adolescenza, compresi davvero
cos’era accaduto. Eravamo state mutilate in modo che rimanessimo
«pulite» e non avessimo ragazzi. I miei genitori credevano in
questo modo di prepararmi al matrimonio, di aver agito per il mio
bene, ed io volevo accettarlo perché mi dicevano che le donne
mutilate erano maggiormente rispettate. All’età di nove anni,
quando ci trasferimmo a Parigi, fu una grande sorpresa per me
scoprire che non accadeva a tutte le donne. E poi fui costretta a
vedere bimbe di origine senegalese a cui veniva detto che sarebbero
andate in vacanza in Africa, ma in effetti vi venivano portate per
essere mutilate. Mia madre, a Parigi, fece mutilare segretamente tre
delle mie sorelle.
Ero infuriata per tutto questo e in me crebbe
la determinazione di porre fine a questa pratica brutale. Ho
cominciato a parlarne con chiunque volesse ascoltarmi: i servizi
sociali, i medici, la polizia, gli altri africani che vivevano a
Parigi. Per lungo tempo ho provato rancore per le donne che mi
avevano fatto del male, per gli uomini che lo avevano voluto e
approvato, per mia madre che lo aveva permesso, per mio padre che non
aveva mai fatto nulla per fermarlo.
Cominciavo a pensare al
suicidio. La mutilazione ti porta via identità e dignità. Solo
quando ho smesso di pensare a me stessa come ad una vittima ho smesso
di credermi priva di valore. Dalla rabbia è uscita la compassione, e
ho capito che la colpa non era di quelle donne o di mia madre, ho
capito che erano semplicemente accecate dal dover seguire una
«tradizione».
Se avessi continuato a vivere di rabbia e rancore
sarei di certo morta. Ma la mia rabbia ha avuto anche risultati
positivi, perché mi ha spinta a lottare per mettere fine alle
mutilazioni. Adesso lavoro in una campagna sul campo che si chiama
«Forward» e parlo nelle scuole, in Francia e in Gran
Bretagna.
Quando ho incontrato l’uomo che sarebbe poi divenuto
mio marito, ho dovuto dirgli di non aspettarsi che io potessi
rispondergli sessualmente. «E se dico no, è no», ho aggiunto con
fermezza. Mio marito è un uomo che ha un grande rispetto per me, ed
è molto paziente. Oggi, le mie tre sorelle che ho citato prima
lavorano con me per fermare le mutilazioni. Persino mia madre adesso
ne parla come di una violazione dei diritti umani. E prima che
morisse, sei anni fa, sono riuscita a parlarne bene con mio padre. Ho
aperto il mio cuore per lui, gli ho spiegato cosa le mutilazioni sono
davvero, come ti rovinano fisicamente e mentalmente. Mio padre è
scoppiato in lacrime, e mi ha detto che nessuna donna gli aveva mai
parlato della propria sofferenza. Poi mi ha chiesto scusa, mi ha
pregato di perdonarlo. Il giorno dopo ha chiamato i nostri parenti in
Senegal, e il risultato è stato che un «picnic» come quello a cui
ho partecipato io a cinque anni è stato cancellato, e cinquanta
bambine sono state salvate.
Salimata Badji-Knight