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UFFICIO RECLAMI
Data pubblicazione: 04/03/2009 | ATTUALITÀ
ATTUALITÀ | In programmazione un convegno il 4 aprile presso il museo Castromediano
Da Lecce parte «Bikaloro», il progetto realizzato
contro la mutilazione dei genitali femminili
Il progetto «Bikaloro» è una campagna di sensibilizzazione giunta a Lecce, destinata ad informare e sensibilizzare sui rischi delle Mgr e sui diritti delle donne e dei bambini. Diversi appuntamenti organizzati nel Salento dagli enti locali in vista dell'evento.

LECCE | Le chiamano Bikaloro, un gravissimo insulto che vuol dire «esseri privi di ogni maturità» sono le donne non escisse, le donne bambine. Bikaloro è una campagna di comunicazione arrivata anche a Lecce rivolta alla comunità tutta e in particolare ai migranti già residenti in Italia e nello specifico nella regione Puglia. Informazione e sensibilizzazione semplice e chiara sui rischi delle Mgf e sui diritti delle donne e delle bambine. Il progetto della Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids con sede a Lecce è organizzato in collaborazione con Sportello Immigrazione Salento e Istituto di Culture Mediterranee della Provincia di Lecce. Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Lecce, Assessorato al Mediterraneo della Provincia di Lecce, Asl Le, Ordine dei Medici e Chirurghi di Lecce, Cinit Cineforum Lecce, Senza Frontiere soc. coop., Paz soc. coop., Ass. culturale albanese Vellazerimi (Albania), Ass. cittadini Somali ed Etiopi, Arte Brasil, Mijikenda Cultural (Kenja), Ass. Centro Multiculturale Etnos, Ass. Guy Gi Il Baobab, Associazione Diaspora.

Sono almeno 130 milioni le donne e le bambine nel mondo che hanno subìto mutilazioni genitali e solo in Italia si calcola che siano più di 30mila. A poco più di due anni dalla legge numero 7 del 9-01-2006 - Legge Consolo, che vieta le mutilazioni genitali femminili (Mgf) è difficile fare un bilancio sulla sua efficacia. Non esistono dati. Ma per combattere il fenomeno è stato firmato un Protocollo d’intesa tra il Ministero della Salute e la Federazione dei medici pediatri. «La legge ha fatto conoscere i rischi in Italia delle mutilazioni - spiega Aldo Morrone, primario del San Gallicano di a Roma - e ha avuto un effetto positivo. Il problema rimane quello delle vacanze: le bimbe vanno a trovare le nonne e tornano mutilate».


La legge punisce, con una pena fino a 10 anni, chi pratica questa usanza. «Ma è un problema nascosto e non facile da rilevare», conferma Armando Pullini, esperto dell’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità). Secondo una ricerca Ismu in Lombardia, curata dallo stesso Pullini, sono quasi 120 le donne a Milano e un centinaio a Brescia che sono state sottoposte a mutilazioni dei genitali. «Un quarto delle egiziane e la totalità delle somale che vivono in Lombardia sono state sottoposte a questa pratica», si legge. «L’integrazione favorisce la scomparsa del fenomeno, ma con i nuovi sbarchi di immigrati non sappiamo che tipo di situazione si presenterà», conclude il ricercatore.

«Abbiamo visto che le somale che vivono qui non eseguono il taglio sulle figlie», dice Rosalia Lombardi, dell’Università di Milano, fra gli autori della ricerca Ismu. «La questione è diversa per gli egiziani, che portano le figlie a casa per la mutilazione. Ma, in Italia, in 10 anni abbiamo raccolto solo due casi di bimbe appena mutilate e poi portate in ospedale». Restano, dunque, i molti casi di donne mutilate in patria che poi si rivolgono alle strutture sanitarie per farsi curare. Per affrontare il problema il ministero della Salute ha dettato le linee guida per gli operatori sanitari.

«Le mutilazioni portano grossi rischi per la salute», spiega il dottor Morrone, che dirige l’Istituto italiano per la salute delle popolazioni migranti (Inpm). «Aumentano le possibilità di contrarre malattie e le infezioni mortali. In caso di parto la mamma e il nascituro sono in grave pericolo. Aumentano anche i tumori». Al San Gallicano dal 2005 al 2006 sono state visitate 16mila donne provenienti da paesi a maggior rischio Mgf. Il 70,9 per cento, fra i 18 e i 46 anni, era stato mutilato. Quasi il 20 per cento ha fatto richiesta di intervento ricostruttivo. «In passato i pediatri vedevano arrivare genitori che chiedevano di mutilare le figlie - dice Nadege Candeh, mediatrice al Policlinico di Palermo - medici non accettavano e qualche mese dopo le bimbe tornavano mutilate e con un’infezione. Questo ora non succede più, ma serve più informazione. Ho seguito una donna mutilata che doveva partorire. Non voleva farsi visitare. Si sentiva diversa, perché mutilata». Fondamentale aiutare le immigrate a trovare una via d’uscita. «Al San Gallicano organizziamo la cerimonia del the in cui viene dato un regalo alle bimbe - conclude Aldo Morrone - un modo per sostituire il taglio con un rito diverso. Le donne immigrate si fanno convincere. E’ più difficile farlo capire agli uomini».

CONFERENZA STAMPA
4 marzo ore 11 a Palazzo Adorno della provincia di Lecce – conferenza stampa di presentazione della campagna di comunicazione

CONVEGNO
4 aprile ore 10 a Lecce - Convegno «Bikaloro» c/o Museo Sigismondo Castromediano

CINEFORUM CINEFORUM CINIT C/O CINEMA SANTA LUCIA
vedi cartolina

IL MANIFESTO - CAMPAGNA AFFISSIONI REGIONALE
fotografia Paolo Margari
grafica Roberta Cleopazzo
dall’uno al 12 marzo affissioni nei capoluoghi di provincia di Lecce, Brindisi, Taranto, Bari e Foggia.

 

Ecco una testimonianza:

Sì, avevo cinque anni quando le donne del villaggio mi dissero che saremmo andate nella foresta. Con me c’era un intero gruppo di ragazzine, dalla mia età sino ai 16 anni: eravamo tutte felicissime, perché ci avevano detto che era un pic-nic. Ma non lo era. Più del dolore e del pianto ricordo lo shock dell’aver compreso che ci avevano ingannate. Sapevo che avrebbero tagliato via qualcosa da me, ma non sapevo cosa. Durante il percorso le donne erano molto gentili, ci regalavano dolci e così via: era il loro modo di chiedere perdono, ma era anche il loro modo di vendicarsi, il ripetere su di noi un crimine che loro avevano subito. Solo più tardi, nell’adolescenza, compresi davvero cos’era accaduto. Eravamo state mutilate in modo che rimanessimo «pulite» e non avessimo ragazzi. I miei genitori credevano in questo modo di prepararmi al matrimonio, di aver agito per il mio bene, ed io volevo accettarlo perché mi dicevano che le donne mutilate erano maggiormente rispettate. All’età di nove anni, quando ci trasferimmo a Parigi, fu una grande sorpresa per me scoprire che non accadeva a tutte le donne. E poi fui costretta a vedere bimbe di origine senegalese a cui veniva detto che sarebbero andate in vacanza in Africa, ma in effetti vi venivano portate per essere mutilate. Mia madre, a Parigi, fece mutilare segretamente tre delle mie sorelle.
Ero infuriata per tutto questo e in me crebbe la determinazione di porre fine a questa pratica brutale. Ho cominciato a parlarne con chiunque volesse ascoltarmi: i servizi sociali, i medici, la polizia, gli altri africani che vivevano a Parigi. Per lungo tempo ho provato rancore per le donne che mi avevano fatto del male, per gli uomini che lo avevano voluto e approvato, per mia madre che lo aveva permesso, per mio padre che non aveva mai fatto nulla per fermarlo.
Cominciavo a pensare al suicidio. La mutilazione ti porta via identità e dignità. Solo quando ho smesso di pensare a me stessa come ad una vittima ho smesso di credermi priva di valore. Dalla rabbia è uscita la compassione, e ho capito che la colpa non era di quelle donne o di mia madre, ho capito che erano semplicemente accecate dal dover seguire una «tradizione».
Se avessi continuato a vivere di rabbia e rancore sarei di certo morta. Ma la mia rabbia ha avuto anche risultati positivi, perché mi ha spinta a lottare per mettere fine alle mutilazioni. Adesso lavoro in una campagna sul campo che si chiama «Forward» e parlo nelle scuole, in Francia e in Gran Bretagna.
Quando ho incontrato l’uomo che sarebbe poi divenuto mio marito, ho dovuto dirgli di non aspettarsi che io potessi rispondergli sessualmente. «E se dico no, è no», ho aggiunto con fermezza. Mio marito è un uomo che ha un grande rispetto per me, ed è molto paziente. Oggi, le mie tre sorelle che ho citato prima lavorano con me per fermare le mutilazioni. Persino mia madre adesso ne parla come di una violazione dei diritti umani. E prima che morisse, sei anni fa, sono riuscita a parlarne bene con mio padre. Ho aperto il mio cuore per lui, gli ho spiegato cosa le mutilazioni sono davvero, come ti rovinano fisicamente e mentalmente. Mio padre è scoppiato in lacrime, e mi ha detto che nessuna donna gli aveva mai parlato della propria sofferenza. Poi mi ha chiesto scusa, mi ha pregato di perdonarlo. Il giorno dopo ha chiamato i nostri parenti in Senegal, e il risultato è stato che un «picnic» come quello a cui ho partecipato io a cinque anni è stato cancellato, e cinquanta bambine sono state salvate.

Salimata Badji-Knight

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