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UFFICIO RECLAMI
Data pubblicazione: 27/01/2009 | POLITICA
L'INTERVISTA | «Possibile una mia candidatura alle primarie del Pd»
«La Poli? È l'ultima imperatrice bizantina».
Sergio Blasi sul «Movimento per il Sud»
L'esponente del Pd parla di primarie. E di federalismo: «Mi spaventa, perché è una bandierina propagandistica nelle mani della Lega. Se dovesse passare al Senato, il nord potrebbe legarsi con l'area di Amburgo, mentre il Salento con Cipro e il Portogallo».
di Cristian Rizzo


MELPIGNANO | Sulle manovre partitiche, l'esponente del Pd, Sergio Blasi, pensa a una lotta fra persone. Da una parte, dice, c'è la senatrice, dall'altra Fitto a litigarsi su chi debba essere il futuro candidato al vertice della Regione. Blasi, nell'intervista, riflette sulle primarie che il Partito democratico potrebbe realizzare per individuare il candidato alle prossime provinciali: «Se si dovessero fare - spiega - darei il mio contributo». Blasi riflette poi sul federalismo, e dice di essere ogni giorno più deluso della condotta del Partito democratico, che si è astenuto al momento del voto in Parlamento.

 

La cosiddetta riforma federalista, passata qualche giorno fa al Senato, ha fatto esplodere l’entusiasmo soprattutto della Lega. Ecco, quali potrebbero essere, invece, secondo lei, i vantaggi e gli svantaggi di questa riforma per il Sud?

«Il federalismo è un’architettura istituzionale che si fa tra territori omogenei, quindi, vantaggi neanche uno, svantaggi tutti. Per l’intera nazione non solo per il Sud, non siamo nelle condizioni di poter affrontare questo passaggio. La fisionomia politica del nostro Paese è stata tracciata dalla costituzione che parla di uno stato unitario con forte decentramento delle Regioni per salvaguardare la specificità, le identità territoriali che queste rappresentano. Non capisco cosa possa significare, per l’intera nazione, questo passaggio che mi sembra più una bandierina propagandistica messa nelle mani della Lega che altro. Se dovesse passare questo tipo di riforma, adesso sul piano fiscale poi anche sul piano politico, territori come il nostro tenderanno ad aggrapparsi a quel poco di centralismo che in qualche modo rimane, gli altri proveranno ad accentuare la loro vocazione a separarsi come nel caso del nord. Avremo di fatto un solco che diventa sempre più profondo, da una parte il settentrione che si relaziona con l’area di Amburgo, con l’area della senna, con l’Europa più avanzata e sviluppata economicamente, noi ci confronteremo con Cipro e il Portogallo creando di fatto due Paesi, nello stesso Stato, non solo sul piano economico ma anche due Paesi sul piano dei diritti e della cittadinanza. Ecco perché l’idea del federalismo mi preoccupa, mi spaventa».

 

L’altro argomento che in questi giorni tiene banco è sicuramente il nuovo movimento che la senatrice Adriana Poli Bortone vorrebbe fondare a difesa di quei diritti che lo Stato non riconosce al meridione. Lei cosa ne pensa?

«Il movimento che tenta di fondare risponde solo ai suoi interessi personali. È una battaglia tra lei e Fitto (Pdl) per la candidatura alle elezioni regionali e utilizza come al solito strumenti demagogici e populisti. Non ha nessuna credibilità chi qui impugna la bandiera del sud, e a Roma vota insieme alla Lega Nord. Noi lo dicevamo in campagna elettorale che un Pdl così fortemente agganciato alla Lega, avrebbe prodotto solo danni per il sud e oggi ne stiamo pagando le conseguenze, basta vedere gli strumenti che sono stati tolti in sostegno dello sviluppo e delle imprese del meridione d’Italia: il credito d’imposta è uno su tutti, introdotto per la prima volta dal Governo D’Alema nel 1999, riproposto col secondo Governo Prodi, cancellato da Tremonti, dalla stessa Poli Bortone e da Raffaele Fitto, quindi di quale Sud parla?».

 

Perché alcuni politici di sinistra vedono di buon occhio il nuovo movimento della Poli?

«Ma perché c’è un conformismo e anche qui c’è una partita tutta personale. Si pensa di poter in qualche modo accattivarsi le simpatie di un movimento che possa ritornare utile nella partita per le Provinciali e non si parla invece di un progetto per il Sud, di un mediterraneo nuovo che cambia, che fra un anno sarà area di libero scambio dal punto di vista del mercato, e noi siamo l’avamposto naturale. Dovremmo cominciare ad utilizzare i fondi comunitari, dopodiché i finanziamenti straordinari dell’Unione europea andranno verso i paesi dell'area dei balcani. Se riusciamo ad ipotizzare un’idea di Salento che sappia relazionarsi con questo mondo, potremmo continuare in via indiretta a beneficiare di queste risorse, quasi fosse una sorta di cooperazione tra questi paesi e il nostro territorio. Dobbiamo mettere in campo un’idea di Salento, piuttosto che gli «inciuci» tra i gruppi dirigenti. Un’idea di salento che oggi sappia rispondere a quelle che sono le tre grandi questioni che abbiamo di fronte: ambiente, territorio, trasporti. Non è accettabile che nel 2009, per spostarci con la littorina da Traviano a Lecce, impieghiamo un’ora e mezza. Bisogna ricostruire la normalità».

 

Sarà lei, sindaco Blasi, il candidato presidente alle elezioni provinciali di giugno?

«Proprio non lo so. L’unica strada vera per venir fuori da questo momento in cui il centrosinistra vive una crisi di consensi e il centrodestra ha il vento in poppa, è riconsegnare una motivazione ai territori dal basso. Questa è la ragione che mi spinge a dire con forza che l’unico strumento che noi abbiamo per ricostruire il territorio, è quello che ci siamo imposti come regola fondativa del Pd e cioè che nella scelta dei candidati, si adottino le primarie. Non capisco che senso abbia un partito che si dà delle regole, e poi le tradisce».

 

Lei dunque concorrerà alle primarie?

«Se si terranno le primarie penso di poter dare il mio contributo. Sarebbe presuntuoso da parte mia pretendere una candidatura alla presidenza della Provincia senza passare da questo strumento democratico adottato dal mio partito».

 

Vincerà queste primarie?

«Questo non lo so. Spero che vinca il cambiamento».

 

Come mai, secondo lei, oggi in Italia i politici migliori, coloro che adottano i princìpi fondamentali della politica, coloro che mettono prima di tutto gli interessi della comunità, coloro che sono ben visti dall’opinone pubblica sono tenuti in disparte a discapito dei politici «mediocri» che sino ad oggi sono sempre stati sotto i riflettori?

«Questa è una malattia della democrazia italiana e del sistema politico italiano. Per me il Partito democratico è stato una grande speranza proprio per questo. C’erano tutte le premesse per costruire un sistema politico migliore».

 

Ma lei crede ancora nel Partito democratico?

«Mi danno ogni giorno motivo per crederci sempre di meno. Il voto di astensione sul federalismo è un’ulteriore motivo per vederlo sempre più lontano. Il Pd era una grande opportunità per mettere in piedi un partito riformista proprio nel senso etimologico della parola: riformare vuol dire mutare forma, non è una mediazione al ribasso ma è un grande processo di cambiamento delle istituzioni e il paese ha bisogno di un partito così. Vedo però che le resistenze oligarchiche sono dure a morire, votate solo alla propria condizione individuale, e allora bisogna ribaltare il protagonismo dei singoli a favore del bene comune e poi occorre costruire generazioni nuove. In questo momento vedo un Pd timido e votato al moderatismo. Non mi spaventano le mediazioni positive per arrivare a questo cambiamento, ma le mediazioni non possono essere a danno dei principi e dei valori fondanti di un partito. Il Pd ha bisogno di rilanciare e con forza quest’idea di partito nuovo, di una sinistra nuova che sia in grado di esprimere questa grande vocazione a far cambiare forma alle cose».

 

Esistono i politici «veri»?

«I politici dipendono da quello che fanno e da quello che producono, non da quello che dicono».

 

Oggi esistono?

«Oggi vedo pochissimi che hanno questa inclinazione. I politici di un tempo erano grandi perché oltre alle parole producevano un’esempio, non si indagava sulla loro onestà intellettuale e riuscivano a convincere milioni di persone a spendere il loro tempo libero per un’idea, oggi riusciamo a mettere davanti ad un tavolo pochissime persone, e solo quando devono discutere se occupare la poltrona di un assessorato o una funzione di sottogoverno. I partiti si sono ridotti a fare una sorta di vigile del traffico delle postazioni, e purtroppo non funziona così. I partiti devono essere in grado di mobilitare energie, masse, popoli, intorno a grandi valori e intorno a progetti di trasformazione della società».

 

Il centrosinistra può risollevarsi?

«Il centrosinistra può risollevarsi se trova l’aspirazione di essere grande, all’interno un nuovo tempo, che sappia interpretare questo nuovo tempo, che sappia costruire un nuovo vocabolario, nuove parole».

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