LECCE | La riforma sul federalismo fiscale inizia a muovere i primi passi verso un’attuazione che, al massimo entro due anni, dovrebbe portare, al nostro paese, sostanziali mutamenti. Lo scorso 22 gennaio, infatti, il Senato con 156 voti favorevoli, 6 contrari e 108 astenuti, ha approvato il disegno di legge sul federalismo, tra esultanze storiche, quelle di Umberto Bossi e Roberto Calderoli (Lega Nord), aspre polemiche, quelle dell’Udc, e tanta confusione. Il Pd partecipa poco, si astiene (anche se l’astensione in Senato equivale a voto contrario), discute con il ministro Giulio Tremonti di costi d’attuazione della manovra e si prende le strigliate di Casini che invita il neo-partito, «a svegliarsi dal sonno profondo». Anche la senatrice leccese di Alleanza Nazionale, Adriana Poli Bortone, fresca di dimissioni dal coordinamento regionale, punta il dito contro la proposta di legge della Lega, definendola «imperfetta» ma soprattutto «penalizzante per il sud».
«Il federalismo fiscale - sottolinea l’europarlamentare - poteva essere accolto come un'opportunità di sviluppo e non come una deminutio. Il testo approvato non risolve il principio di territorialità dell’imposta: la compartecipazione ai tributi erariali è stata introdotta per le Regioni e non per i Comuni, ma quel che è più grave, non si è voluto inserire il principio secondo cui il calcolo della compartecipazione ai tributi erariali sia effettuato tenendo conto del luogo della prestazione, così da ricomprendere tutti i casi in cui il territorio meridionale è utilizzato dalle imprese del nord solo a fini di sfruttamento». La senatrice si riferisce al caso Ilva, che lavora sul territorio pugliese, ma avendo sede legale al nord, «paga le tasse al nord e arricchisce una fetta di settentrione a nostro sfavore». E rilancia il movimento per il Sud, che piace molto anche a sinistra, per difendere le sorti di un meridione abbandonato alla sua triste sorte.
Vediamo in sintesi quali sono i punti fondamentali della proposta di legge sul federalismo. Diminuire le tasse, innanzitutto: individuare meccanismi che assicurino maggiori risorse finanziarie, riduzione delle spese determinando una riduzione della pressione fiscale dei diversi livelli di governo. Nessuna nuova Ici: cade l’Imposta comunale sugli immobili che finanzia l'autonomia dei Comuni. Arriva la tassa di scopo: i Comuni e le Province potranno istituire un tributo per la realizzazione di opere pubbliche. Saranno assegnati dei premi per favorire le fusioni e le unioni tra i vari comuni di piccole dimensioni. Finanziamenti alla Capitale: alla città di Roma verranno assegnate delle quote aggiuntive di tributi erariali. Il Comune sarà competente, tra l’altro, sulla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, sull’edilizia e la protezione civile. Una commissione per vigilare: sarà la sede per condividere le informazioni finanziarie e tributarie e svolgerà attività consultiva. Verrà istituita da un decreto del presidente del Consiglio e resterà in vita fino al momento in cui entrerà in vigore il primo decreto legislativo. Più autonomia per città metropolitane. Arrivano specifici tributi per garantire una più ampia autonomia di entrata e di spesa. Sparisce il tetto di 350mila abitanti per consentire anche ai Comuni capoluogo di poter godere di tale autonomia. Tempi di attuazione: il primo decreto attuativo della delega va emanato entro un anno e gli altri decreti entro due anni dall’entrata in vigore del testo. La riforma entrerà a pieno regime al massimo entro nove anni dall’entrata in vigore.