NARDÒ | Resti di un carico di un’imbarcazione di età preromana sono stati segnalati alla base di una scarpata rocciosa posta lungo la costa di Nardò, da Giuseppe Piccioli, docente di Geografia presso l’Università del Salento. Il sito è localizzato su un pendio che degrada verso un pianoro sabbioso, a moderata profondità. Nelle sacche del fondale si notano numerosi frammenti anforari, fondi, pareti, rari colli e orli, incastrati e concrezionati nelle fenditure a volte profonde della parete. Gli esemplari presentano spiccate affinità di forma e d'impasto con un cospicuo gruppo di anfore rinvenute negli scavi di Torre San Giovanni di Ugento. Si tratta, a un primo esame dell'impasto rossastro, di anfore del «a pasta rossa», che si ispirano a coevi contenitori corinzio-corciresi ma sono prodotti, come suggeriscono gli esami petrologici e chimici effettuati sugli esemplari di Torre San Giovanni, nelle colonie greche della Calabria o della Sicilia tra la fine dell'età classica e il primo Ellenismo, cioè tra IV e prima metà del III secolo avanti Cristo. Risulta evidente una reiterata attività di asportazione del materiale archeologico a opera di subacquei clandestini, che ha sovente causato la rottura degli esemplari integri o dal profilo completo. In origine il carico si doveva presentare presumibilmente come una massa di anfore ordinatamente sovrapposte. Negli scorsi decenni, stando alle testimonianze di anziani pescatori, nei paraggi fu rinvenuta un’ancora. «La scoperta - ha dichiarato il professore Giuseppe Piccioli - ha certamente grande valore scientifico perché testimonia l’importanza strategica che la località della costa ionica salentina possedeva in epoca preromana e permette di gettare nuova luce sulle antiche rotte marine, oltre a rinforzare le conoscenze relative alla geografia degli scambi commerciali, all’inquadramento nell’assetto geoeconomico in cui erano inseriti il Salento e la vicina Grecia». «Se inquadrata in un’ottica di sviluppo mirato all’utilizzo dell’immenso patrimonio archeologico verso una fruizione sostenibile, corretta e armonica – ha sostenuto la professoressa Rita Auriemma, Ricercatrice di Archeologia subacquea presso l’Università del Salento - la scoperta può costituire un fenomenale strumento per la crescita del turismo ambientale e culturale, con possibilità di ritorno economico, di accrescimento d’immagine. Basti pensare a tutte le emergenze archeologiche ancora in situ e per vari motivi non fruibili come nei musei. Ebbene, un loro giusto utilizzo farebbe di questa parte dei beni archeologici un modello di fruizione unico che, da un lato, porterebbe alla valorizzazione e alla preservazione dei beni e dell’ambiente che li ospita, da un altro lato sarebbe un vero motivo di vanto per quelle amministrazioni che decidono l’attuazione di questo tipo di progettualità. Il Comune di Nardò ha lanciato importanti segnali in questa direzione, grazie anche alla particolare sensibilità dimostrata dal vicesindaco Giancarlo De Pascalis e dall’assessore all’Urbanistica e Ambiente, Mino Natalizio. Infatti sono stati sottoscritti protocolli d’intesa che vanno nella direzione auspicata, quella di fare del Salento una terra all’avanguardia sul palcoscenico archeologico internazionale».