Data pubblicazione: 22/10/2008 | CRONACA
«Visita» sott'acqua per recuperare altre 15 anfore. Carabinieri giù nel fondale
Sono terminate le operazioni di recupero di altre quindici anfore che si trovano al largo di Posto Rosso, marina di Alliste. I carabinieri in questi giorni hanno recuperato il materiale che in due, poi denunciati, avevano scoperto.
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<p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify"><strong>UGENTO</strong><span> | Si sono concluse ieri le operazioni di ispezione da parte dei
sommozzatori dei carabinieri del Nucleo operativo di Taranto che si
sono immersi e hanno steso una mappa documentata dei 50 metri di
fondale marino, che lo scorso 14 ottobre, a seguito di un'operazione
condotta in mare con l'ausilio della motovedetta dei carabinieri di
Tricase ha portato alla denuncia di due persone con l'accusa del
reato di detenzione di beni culturali di proprietà dello
Stato. In quell'operazione videro la luce 38 anfore greco-italiche
del II e III secolo avanti Cristo, che furono occultate all'interno
dell'abitazione di uno dei due. L'attività specialistica da
parte dei carabinieri ha consentito di mettere in sicurezza le
anfore, rimaste concrezionate sul fondo assieme all'intero carico
della nave, e di recuperare quelle rimaste esposte e facilmente
trafugabili, e di accertare l'effettivo danno che è stato
arrecato al prezioso sito di interesse archeologico, che si trova a
Posto Rosso, marina di Alliste, dopo Torre San Giovanni.</span></p>
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<p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify"><span>In
quell'occasione furono recuperate trentotto anfore che sono state
rinvenute sia a ridosso dell'imbarcazione che in due avevano
utilizzato per il recupero dal mare, sia all'interno di un'abitazione
di uno dei due che era stata adibita a deposito. Un grosso deposito
anforario. Intanto, nel mare, a seguito dei sopralluoghi di questi
giorni, in un bacino dell’estensione di circa 20 metri 2 per 1
metro di profondità, risulta praticamente sventrato e
dimezzato dall’opera di prelievo illecito e a dir poco sconsiderato
dei predatori che, come sempre avviene, agiscono in assoluto spregio
all’inestimabile valore che i reperti rappresentano per le civiltà
moderne. I due insospettabili, utilizzando attrezzi di fortuna, non
certamente specifici per simili operazioni quando queste sono
autorizzate, ma costituiti da picconi, zappe, martelli, scalpelli,
rastrelli ed aste pesanti, che sono stati poi sequestrati dai
carabinieri sommozzatori di Taranto, hanno violato l’integrità
del sito, che per più di due millenni si conservava sotto uno
spesso strato di concrezione marina, ridotto ad un vero e proprio
cantiere.</span></p>
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<p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify"><span>Infatti,
più di quindici anfore, tutte recuperate nella circostanza dal
Nucleo Subacquei, sono state rinvenute che giacevano nelle vicinanze
del sito e risultavano già ripulite e svincolate dal resto del
cumulo. Il deposito anforario, ormai quasi dimezzato dal massiccio
prelievo e depositate nel garage che prima, quasi per effetto di una
mimetizzazione naturale, rappresentava un'unica cosa con la
conformazione rocciosa e tipica del fondale, potrebbe facilmente ed
ulteriormente essere danneggiato e manomesso, in quanto il terreno è
ormai divenuto friabile quindi addirittura rimovibile con la semplice
azione di un pennello. L’operazione di polizia portata a termine il
giorno 14 in virtù di quanto già evidenziato anche nel
corso delle notizie diffuse nella circostanza, è stata di
fondamentale importanza perché ha interrotto un’attività
di saccheggio che sicuramente, se protratta nel tempo, avrebbe
causato danni ancor più gravi ed irreparabili al valore
storico e culturale del sito, in quanto quasi sicuramente si sarebbe
arrivati a depredare anche i resti della nave che trasportava il
carico di anfore.</span></p>
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<p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify"><span>Triste
epilogo che avrebbe sottratto all’archeologia navale, quale scienza
fondamentale che studia il trasporto per mare nell’antichità
sotto il profilo storico e geografico, ogni possibilità di
fare studi approfonditi e sistematici su quei fondali. Gli ulteriori
interventi che sono stati effettuati nei giorni successivi al
ritrovamento dal Nucleo Subacquei, necessari ad effettuare altri
accertamenti che si uniranno a quelli che, nello specifico del reato
di violazione al Codice dei Beni Culturali e del paesaggio verranno
effettuati sul Gps e sul computer subacqueo sequestrati, è
stato finalizzato a raccogliere tutti quei dati che verranno messi al
vaglio della Soprintendenza archeologica della Puglia. Questa,
avvalendosi anche della consulenza dei più famosi studiosi e
tecnici in materia, provvederà ad escogitare un sistema per
intervenire nell’immediatezza a tutela del sito archeologico
rinvenuto per poi pianificare gli opportuni studi. Fra le soluzioni
che in analoghe situazioni sono state ufficialmente adottate ci sono
quella della realizzazione di una rete metallica che ricopre il sito
per tutta la sua estensione, in alternativa o in aggiunta, la nomina
di associazioni o singoli volontari, che praticano l’attività
subacquea e che risultino di indubbia moralità, che provvedono
autonomamente alla vigilanza delle aree d’interessate ma in
costante collegamento con i carabinieri, pronti ad intervenire ad
ogni richiesta. Interventi questi ora più che mai necessari a
tutelare il prezioso carico della nave che lo trasportava in tempi
antichissimi, dopo la pesante ferita inferta da questi sprovveduti
ricercatori di tesori sommersi. Come è noto le acque marine
della Puglia sono ricche di siti archeologici, già conosciuti
dalle autorità o ancora da scoprire, il Nucleo carabinieri
subacquei di Taranto, sin dalla sua istituzione in qualità di
Reparto Speciale dell’Arma dei Carabinieri che risale al lontano
1953, continuerà con impegno e con l’impiego di attrezzature
sempre più tecnologicamente avanzate nella sua opera di
salvaguardia e tutela di queste aree archeologiche, nell’interesse
dello Stato, unico titolare di tutti i diritti esercitabili sui Beni
culturali del nostro territorio.</span></p>