<p style="text-align: justify;"><strong>LECCE </strong>| Il presidente regionale del Partito Democratico, <strong>Loredana Capone</strong>, interviene sulle riforme scolastiche. «Che la scuola, da tempo, attraversi una crisi così profonda e complessa da aver bisogno di una riforma organica, di una riforma capace cioè di produrre cambiamenti radicali, realmente incisivi e duraturi, un po’, per intenderci, come la riforma Gentile di un secolo fa, su questo non c’era, e non c’è, dubbio. Tutti, ad esempio, auspicavamo che si intervenisse finalmente sulla formazione e sulla valutazione dei docenti, premiando chi dedica la vita all’insegnamento, considerandolo come una missione che forma generazioni di studenti. Così aspettavamo che ci fossero nuovi indirizzi nazionali su una migliore articolazione delle sedi scolastiche e concreti finanziamenti per l’edilizia che permettessero di avere scuole in grado di soddisfare le esigenze degli studenti italiani, rendendoli a tutti gli effetti europei. Ciò che non immaginavamo era che si partisse dalle elementari, tagliando professionalità e specializzazioni degli insegnanti, quando proprio la scuola elementare italiana, lo conferma l’ultimo rapporto dell’Ocse, è tra le migliori del mondo per organizzazione. Certo, se questo significasse una migliore articolazione dell’orario nell’arco dell’intera giornata, prevedendo il tempo pieno in tutto il Paese (oggi esiste in larga misura solo nel Nord) ci si potrebbe pensare. E, tuttavia, ciò non compare nella formula stringata utilizzata nel decreto del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, per cui ciò che emerge chiaramente è solo l’operazione economico - contabile voluta da Tremonti con il taglio del numero di ore e degli insegnanti.</p>
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<p style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">Ciò che vogliamo da sempre – continua Capone - è un miglioramento della qualità dell’offerta formativa, che può essere frutto di insegnanti bravi e riconosciuti, anche economicamente, per il loro merito, di istituti moderni ed efficienti, di laboratori e palestre funzionanti e di un orario prolungato che permetta a tutti i ragazzi e le ragazze, di qualunque condizione economica, di fare attività sportiva, laboratori d’inglese, informatica, musica, arte, teatro, senza costringere le famiglie, in genere le mamme, e solo quelle che possono permetterselo, a diventare autiste stressate di ragazzi stressati, alla ricerca continua di luoghi alternativi alla poltrona di fronte a internet per chattare o al bar/pub dove bere alcolici. Ci aspettavamo che si intervenisse finalmente per sostenere quei poli scolastici idonei ad essere utilizzati anche d’estate per ospitare studenti e docenti (come avviene in tutte le altre parti d’Europa dove vanno regolarmente i nostri ragazzi e le nostre ragazze, e come, con grandi sforzi proprio noi stiamo cercando di fare) per quegli scambi di esperienze che producono turismo studentesco, fonte di finanziamento di operazioni di ristrutturazione e manutenzione degli stessi immobili scolastici, oltre che di occupazione e ricchezza per l’intero Paese. Ma di tutto questo nella riforma Gelmini – Tremonti non c’è traccia. C’è, invece, un richiamo al grembiule, pure già usato nella stragrande maggioranza delle scuole, e un richiamo al sette in condotta, come se il voto fosse l’unico strumento di intervento efficace sui disagi di quei ragazzi difficili che in realtà non vogliamo conoscere, o fingiamo di non conoscere, nelle loro aspettative di vita, nei loro bisogni, nelle loro richieste di dialogo, di confronto e di fiducia. Una fiducia che gli altri Paesi europei promuovono fino a fare scegliere loro percorsi di individuazione rispondenti alle reali attitudini e capacità, mentre noi li costringiamo tutti insieme in una classe rigida in cui spesso non è conosciuta neppure la loro identità.</p>
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<p style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">Ammettiamolo, i voti in tutte le materie e l’incidenza di ciascuno sulla media possono essere un buon espediente per far studiare ai ragazzi anche quelle discipline alle quali oggi si attribuisce ingiustamente il valore di discipline minori, ma guai se volessimo attribuire a quei numeri il valore e la portata della complessa personalità di ciascun ragazzo, e se pensassimo una scuola meramente formalistica, che trascura gli impegni di dialogo e confronto costante con le famiglie. Per anni – continua Capone - ci siamo inventati strumenti di valutazione privi di conseguenze efficaci per i nostri ragazzi e per la loro formazione e per il confronto con il mondo del lavoro, senza mai valutare gli insegnanti che a quelle valutazioni erano deputati e la capacità dei ragazzi di confrontarsi con il mondo esterno e oggi pensiamo davvero che il sette in condotta possa colmare i divari che ci sono nella società senza investire ciascuno dei soggetti responsabili a vario titolo del rapporto con loro, di poteri, doveri, e diritti che abbiano coerenza e serietà? Io penso che la scuola italiana e, dunque, i ragazzi italiani, le famiglie italiane, meritino una attenzione più profonda che non quella formale. Così come penso che sarebbe davvero un’occasione perduta – conclude Capone - se il Ministro continuasse nella politica dirigista e centralista senza confrontarsi con i Comuni e le Province che, anche attraverso le sedi e l’organizzazione dei servizi, contribuiscono, insieme ai dirigenti scolastici, a definire quelle che chiamiamo politiche educative e che possono conseguire risultati coerenti solo se lo sforzo di definizione è stato fatto insieme sin dall’inizio».</p>