<p style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;"><strong>UGENTO</strong> | Eluana Englaro da sedici anni vive in coma irreversibile, a causa di un incidente stradale avvenuto quando era poco più che ventenne. Dorme, si desta, respira senza macchinari, è sana ma non può provvedere da sola a sfamarsi e a dissetarsi, vive quindi in uno stato vegetativo. La Democrazia Cristiana di Ugento, rappresentata dal vicepresidente del consiglio comunale, Nico Giannuzzi, ha deciso di presentare in consiglio comunale un ordine del giorno con il quale si chiede al Governo nazionale di intervenire affinché si eviti ad Eluana la sofferenza di un’agonia terribile e di adottare iniziative normative volte ad introdurre il divieto di qualunque atto che, direttamente o indirettamente, legittimi l'introduzione, nel nostro ordinamento, di pratiche di eutanasia o di morte indotta. Suo padre Beppino da tempo sta chiedendo la sospensione delle terapie e di qualsiasi accanimento terapeutico sostenendo che queste erano le volontà espresse, a suo tempo, dalla figlia. In parole più semplici, chiede l’eutanasia per la figlia. A tal fine, è ricorso anche in sede giudiziaria appellandosi a quanto prevede l’articolo 32 della nostra Costituzione, cioè «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Una prima sentenza della corte di cassazione, a ottobre 2007, ha stabilito due presupposti necessari per poter autorizzare l’interruzione dell’alimentazione artificiale: l'irreversibilità del processo morboso, cioè è necessario che la condizione di stato vegetativo sia irreversibile e non lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche recupero della coscienza e la lettura del pensiero di Eluana, vale a dire riuscire a provare, in maniera chiara, univoca e convincente, che in vita la giovane abbia manifestato la volontà di non essere sottoposta a cure mediche forzate qualora si fosse trovata in stato vegetativo. La più recente sentenza della Corte d’Appello Civile di Milano, a luglio 2008, ha autorizzato il padre Beppino Englaro, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzata che mantiene in vita la figlia Eluana. A seguito di queste due sentenze vi sono state varie manifestazioni, come quella a favore promossa dai Radicali Italiani e quella contraria promossa dal giornalista Giuliano Ferrara. Inoltre, sono stati presentati alcuni appelli, come quello dell'associazione Scienza & Vita e quello del giornalista Magdi Cristiano Allam. Anche il Parlamento ha promosso innanzi alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione con la Corte di Cassazione, sostenendo che i giudici avrebbero pronunciato sentenza in una materia sottratta alla loro potestà.<br /><br />È opportuno precisare, infatti, che in Italia, a differenza di altre nazioni, manca una legge che disciplini la questione dell’eutanasia, sicché i pareri sono diversi e spesso contrastanti. Occorre anche riferire che eminenti scienziati hanno dimostrato che pazienti in stato vegetativo possono mantenere qualche forma di consapevolezza, per cui si dovrebbe usare, oltre ai principi di natura morale ed etica, quello di precauzione, vale a dire non si può far morire di fame e di sete una persona che forse sente e capisce cosa accade intorno a lei, ma non può comunicare: pertanto, se è valido il principio che soltanto il cibo tiene in vita la giovane Eluana significherà farla morire se glielo toglieranno, se decideranno di «staccare la spina» per lei. Da persone civili e moralmente responsabili non possiamo consentire che una sentenza decida non tanto di «staccare una spina», cosa non vera in questo caso, ma di vietare il sostentamento e l’alimentazione ad una persona, che, per morire di fame e sete, impiegherà molti giorni, forse settimane, ed alla quale dovranno essere, perciò, somministrati sedativi per calmare il dolore. Questo è, di fatto, un decreto di morte comminato nei confronti di un essere debole ed indifeso da una sorta di «tribunale supremo» di giudici in toga ed in camice bianco, che si sono arrogati un diritto a loro non spettante. Tra l’altro, occorre riferire che proprio a Bologna esiste la «Casa dei Risvegli», una struttura pubblica considerata un modello terapeutico e riabilitativo unico e che si occupa di persone in coma e dei loro famigliari. Anche le Suore Misericordiose di Como, che dal 1994 si sono prese cura di Eluana presso la casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco, hanno fatto sapere che si rifiuteranno di interrompere l'idratazione e l'alimentazione forzate e hanno altresì manifestato la disponibilità a continuare ad assistere la donna. Inoltre, lo stesso Comitato nazionale di bioetica ha escluso che la somministrazione di cibo ed acqua a soggetti in stato vegetativo sia da considerare trattamento sanitario, tanto meno un accanimento terapeutico.<br /><br />Comunque, al di là di queste disquisizioni giuridiche e sanitarie, secondo Giannuzzi, è da ribadire un concetto fondamentale: nessuno può assumersi la tragica responsabilità di togliere la vita ad un'altra persona. Sulla base di fondamentali principi etico - religiosi non si possono accettare simili decreti e sentenze, che potrebbero avere effetti negativi su tutte le famiglie in condizioni analoghe: è semplicemente aberrante una cultura che antepone al diritto alla vita il diritto-dovere di dare la morte a chi si trova, non per sua scelta, a vivere una qualità della vita non rispondente agli standard considerati accettabili. Non può essere la società a decidere in modo silente e non esplicito di comminare una «morte indotta» alle persone alle quali non riesce a garantire, per propria incapacità, un adeguato livello di cure che consentirebbe di accettare con dignità e superare i disagi dell’invecchiamento, dell’inabilità, della malattia.</p>