GALLIPOLI | Freddato con quattro, forse cinque colpi di pistola, dove due di questi hanno raggiunto il capo, lasciandolo a terra in fin di vita. Poi la corsa, in ospedale, ma c'era ben poco da fare, perché pochi minuti dopo è morto. Un agguato di quelli che non si vedevano da circa cinque anni, riconducibile probabilmente alla Sacra Corona Unita. Lui, la vittima, è Salvatore Padovano, di 47 anni, di Gallipoli. Era anche conosciuto come «Nino Bomba», un soprannome che gli era stato attribuito a suo tempo. Padovano era un ex-boss della Sacra Corona Unita, e da tempo era impegnato nell'attività di scrittore, nella quale si era immerso per dare una svolta alla sua vita, raccontando l'esperienza in carcere di vent'anni. Figlio di Luigi Padovano, è morto questa mattina, dopo essersi accasciato al suolo a seguito dei colpi che gli sono stati inferti. Tutto si è svolto nel giro di pochi minuti. Si era fermato con l'auto, pochi metri più avanti dell'esercizio commerciale «Il paradiso del mare», negozio gestito da cugini che si trova sulla strada provinciale 108, che collega Gallipoli, a Rivabella. Si tratta di una rivendita ingrosso e dettaglio di frutti di mare, cozze e prodotti depurati. Dopo aver percorso da Gallipoli la rotatoria, appena giunto al negozio, ha lasciato l'auto, una Bmw X3, di colore nero, a circa venti metri dall'ingresso principale del negozio, subito dopo il cancello che si trova affianco. Aveva accostato l'auto sulla banchina, in direzione di Rivabella, sul lato del senso opposto di marcia. Dopo essere sceso, Padovano è entrato nel negozio, ma è stato richiamato poco dopo, da un uomo che si è avvicinato per chiedere di chi fosse quell'auto. A quanto è dato di sapere, secondo una prima ricostruzione dei fatti, i sicari l'avrebbero atteso fuori per tendergli l'agguato mortale. Non si sa con precisione, se il killer fosse uno o più di uno. Sta di fatto, che un uomo col casco integrale si sarebbe avvicinato e avrebbe chiesto ai dipendenti del negozio: «Scusate, di chi è quel suv parcheggiato fuori?». Quasi come se stesse intralciando il traffico. Ed ecco che, Padovano, ha prontamente risposto, dicendo: «È mio». E dopo essere uscito ci è voluto un attimo, per scaricargli addosso quella raffica di colpi, uno dietro l'altro, che non si sarebbero fermati se non prima quei sicari si fossero accertati che la morte di Padovano fosse ormai assicurata. I primi due colpi, sparati con una pistola semiautomatica calibro 9 corto, sono andatia vuoto. Poi, con più precisione, il killer che impugnava l'arma si è ripetuto. E giù due altri. Uno lo ha colpito alla nuca, l'altro vicino alla tempia. Nel «Paradiso del mare» i quattro dipendenti che si trovavano all'interno sono rimasti impietriti e hanno dato l'allarme. Subito sul posto è giunta un'ambulanza del servizio sanitario d'emergenza 118, che lo ha trasportato all'ospedale «Vito Fazzi» di Lecce. Per Padovano, i soccorsi, sono stati praticamente inutili, perché nonostante fosse ancora vivo, durante il tragitto verso il nosocomio, le sue condizioni si sono aggravate ulteriormente.
Come si diceva, al momento dell'agguato non si capisce se i killer fossero uno o più di uno. Né tantomeno si conosce il mezzo con cui sono fuggiti. Nel corso delle prime ore della mattinata, si è parlato di una moto, mezzo a cui si è pensato anche successivamente per il fatto che l'aggressore indossasse un casco integrale. Poi però, dato che non ci sarebbero testimonianze esplicite in merito, le supposizioni sono aumentate. Non si esclude il fatto che gli aggressori fossero due, magari a bordo di un'auto, parcheggiata lì vicino. Certo è, che quando si è avvicinato, l'aggressore lo ha fatto a piedi. Sul posto sono giunti gli agenti di polizia del commissariato di Gallipoli, diretti da Pantaleo Nicolì, e gli agenti della Squadra mobile della Questura di Lecce, diretti dal dottor Annino Gargano. Insieme a loro, anche i carabinieri della Compagnia di Gallipoli, guidati dal capitano Domenico Barone, e la polizia municipale della città, che si è interessata, insieme ai carabinieri, di bloccare il traffico lungo tutto il tratto stradale. Successivamente, è stato richiesto l'intervento della Polizia scientifica, che ha fatto rilievi accurati. Quattro bossoli sono stati recuperati, così come documentiamo nella gallery fotografica. A fare chiarezza sulla questione ci sono anche il Procuratore capo della Repubblica del Tribunale di Lecce, Cataldo Motta, il magistrato nominato di turno, il sostituto Angela Rotondano, e il procuratore antimafia Guglielmo Cataldi. Subito è scattato l'iter preliminare, quello degli interrogatori. Dipendenti della pescheria, e testimoni sono stati ascoltati. Ma nessuno avrebbe confermato l'ipotesi che il o i killer si siano dati alla fuga, o si siano appostati con una moto.
CHI ERA SALVATORE PADOVANO | Soprannominato «Nino Bomba», Salvatore Padovano da tempo aveva abbandonato il carcere, dopo 20 anni passati dietro le sbarre a scontare la sua pena. Era convivente con una donna, a Gallipoli, e aveva due figli. Una ragazza, la più grande, studia all'università, il piccolo, un ragazzo, è uno studente liceale. Era fuori dal carcere dal gennaio 2007, insieme al padre Luigi e al fratello Rosario. L'iter processuale ha portato le carte fino a Bari, dove la Corte d'Appello alla quale aveva rimandato tutto la Cassazione, si pronunciò a suo favore, assolvendolo dall'accusa di omicidio per la morte di Antonio Dodaro, boss degli anni del fuoco, ucciso il 17 dicembre del 1988. La sentenza che era arrivata in primo grado, aveva condannato l'ex boss alla massima pena, l'ergastolo. I vent'anni di carcere sono stati scontati per l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Fino al dicembre del 2007, quando era in libertà vigilata. Si stava dedicando al sociale, coltivando una sua grande passione, la scrittura. La sua fatica, edita da Lupo editore, «Da Ciano all'11 settembre» era stata presentata nella scorsa primavera nella perla dello jonio. Intanto, l'omicidio di questa mattina è solo l'ultimo in ordine di tempo, dopo quello dopo circa 5 anni, quando Antonio Fiorentino fu ammazzato il 6 marzo 2003, nel bar Papaya di Lecce. Salvatore Padovano aveva anche aperto un sito su internet (http://www.salvatorepadovano.it/) nel quale parlava di sé, della sua vita, delle sue esperienze nel sociale, delle sue ambizioni, dei suoi sogni.
Intanto, oggi pomeriggio, il fratello Rosario aveva un appuntamento al quale difficilmente mancava. A Chiesanuova, frazione di Sannicola, il primo sabato di ogni mese, il fratello Rosario si recava per recitare un rosario alla Santa Vergine, nella periferia del paese, insieme ad una comunità di persone religiose, credenti, e convertite al cristianesimo. E proprio questo pomeriggio, per via del lutto che lo ha colpito, non si è presentato. La comunità intanto, confida di essere dispiaciuta.