di Antonio Bruno
La sua cravatta per anni si annodava da sola
di Antonio Bruno
Vado alla riunione di condominio e lo sento parlare della curiosità di sapere perché la sua presenza giù da noi non risulta entusiasmante per tutti ma fonte di continui lamenti. Poi accade di vederlo circolare in questa San Cesario di Lecce, la domenica mattina con i giornali che occupano le mani.
Sentire dire di lui che tra i fili delle parole si accendono scintille che riportano all'infanzia mi intriga. E' accaduto stasera 24 aprile 2009 e ho poi letto che nel Foyer del Politeama di Lecce, Giovanni Pellegrino ed Elisabetta Liguori presentavano il libro di Piero Manni “Il prete grasso” (Manni). Al posto del senatore Pellegrino c'era Antonio Errico (scrittore e dirigente scolastico) e le scintille le ha citate lui.
Sul prete grasso che popolava le nostre Chiese di un tempo c'è la frase che campeggia sulla copertina del libro di Piero Manni, copertina che non poteva che essere rigorosamente ROSSA “Andavano in seminario, i bambini, che sembravano manici di scopa smagroliti nelle tonache troppo larghe, a crescenza, che poi gli si stringevano addosso, e le ragazze se li mangiavano con gli occhi e si giustificavano che era l'attrazione per la religione.”
Mi ha fatto gustare un Piero Manni per me inedito Gisella Centonze che appena ho scritto il suo nome mi è apparsa.
E' stanca e mi ha salutato per andare a nanna.
Detto quello che ho sentito dai due presentatori Liguori ed Errico preferisco narrarvi di Piero Manni, delle parole che ha detto lui stasera.
Legge quello che ha scritto in quel suo libricino dalla copertina rossa, legge i frammenti che non ricorda nemmeno più in quale anno abbia scritto, è sicuro che adesso che l'ha pubblicato non gli appartenga più quel chicco nato per essere letto in treno, come se uno in treno non abbia meglio da fare che leggere.
Dice dei sessantenni che hanno molto da narrare e poco tempo per farlo e non imita l'artigiano che invece affida all'astuzia dell'allievo la capacità di carpirne la tecnica e il mestiere. Un vecchio ha un mondo da raccontare ai giovani.
Poi parla della sua cravatta che per anni si annodava da sola, senza che lui se ne prendesse cura, addirittura senza che lui se ne interessasse.
Poi tutto triste ci narra di quel giorno che la cravatta non si annodò più e dovette farlo lui, il nostro Piero Manni, dopo anni, eccolo a doversi cimentare nel ricordo dei gesti necessari per raggiungere l'agognato nodo.
Si lamenta!
Pensate che gli è accaduto che per annodare la sua cravatta ha dovuto mettere attenzione, l'ha dovuto fare consapevolmente privandosi dell'immaginazione a cui si attardava prima, immaginazione che gli consentiva di continuare a stare dappertutto meno che dove stava in quel momento che poi era quello dell'annodare io nodo della cravatta davanti allo specchio.
La meccanicità, nei frammenti di Piero Manni, è funzionale al controllo della realtà, senza di essa ecco che la realtà necessita di attenzione e la mente non può prendere la tangente verso voli improbabili fatti da ricordi che comunque non sono più qui o da aneliti che ancora devono venire.
La discontinuità è un errore per Piero Manni, infatti afferma che quando si rompe il meccanismo fai più fatica e, come dicono gli avvocati, vi è di più, scompare la fiducia in se stessi e nella capacità che hai del controllo della realtà. Davvero interessante questo riferire da parte di Piero Manni ciò che appare condiviso da parecchi, anche se io non condivido alcunché, perché ciò che per Manni è una terribile disgrazia, per me rappresenta l'unica finestra che si apre per consentirti di uscire dalla prigione.
Ma queste sono opinioni, che volete che siano?
Sono solo misere opinioni che assumono rilevanza solo perché tutti sappiamo che ciò che è scritto non è più di chi lo scrive ma una volta pubblicato è di tutti, ed è per questo che lo scritto di Piero Manni diviene anche mio attraverso queste povere parole.
Eccoli i ricordi, le more infilzate nello spiedo ricavato da un filo d'erba, i pipistrelli che loro, ragazzi dei tempi bui e magri del Prete Grasso, cercavano di colpire con le canne e poi eccolo il dialetto che appare “lu rusciu te lu ientu e te lu mare”
Si lamenta di non aver mai scritto un romanzo.
Poi delle immagini. Quelle delle vacanze a Castro in una piccola casetta sugli scogli. I ricordi di un pescatore e del pesce che Piero Manni puliva sugli scogli, e quelle vespe che Manni lasciava sulle sue mani convinto che mai l'avrebbero punto, perché avrebbero poi ottenuto la loro morte, ma tale morte per la perdita dell'apparato boccale è delle api e non delle Vespe, che se avessero punto il nostro amico Piero sarebbero sopravvissute per poterlo pungere ancora e poi una volta ancora all'infinito punture che in altri ambiti potrebbero risultare fatali se fatte a chi ha intolleranze alle punture delle Vespe e delle api.
Ma Piero Manni riferisce che la sua calma e i movimenti mai bruschi nella pulizia del pesce l'hanno difeso e mai ha subito l'onta della puntura di quegli insetti.
E' preoccupato Piero Manni per la mancanza di trasmissione della cultura tra le generazioni e teme un ritorno alle caverne con uomini che anche se primitivi posseggono meno equilibrio dato l'evidente progresso a cui siamo stati sottoposti.
Piero Manni ha tentato di parlare del Salento come terra che è su un pianeta, sul nostro pianeta. Piero Manni conclude e che quell'immagine del Prete Grasso che governava i nostri paesi insieme al Farmacista, quell'immagine che non rimpiange e di cui non ha nostalgia (in questo mi sento molto vicino a lui e condivido pienamente) quell'immagine del Prete Grasso che l'ha segnato per sempre
Quel dannato “Perché?” che ti fa cominciare viaggi per terre inesplorate.
di Antonio Bruno
Il Sabato mattina posso accompagnare mia figlia alle Marcelline. Entro dal cancello, ormai divenuto stretto per via di automobili sempre più grandi, parcheggio e poi ci tuffiamo nuotando nel lungo corridoio sin fino alla panchina nei pressi della cappella che è il luogo della permanenza prima delle preghiere e delle lezioni a seguire.
Non avrei immaginato di dover ascoltare in mattinata l'intervento della Gentilissima Signora Donatella Cinefra che ha proposto i suoi personali ricordi in un intervento avente per titolo “Il ruolo dell'Istituto (Istituto Marcelline – Lecce N.d.R.) e la figura di Suor Giustina Rezzaghi”.
La Gentilissima Signora Donatella Cinefra racconta il modo garbato con cui Suor Giustina Rezzaghi spostava le zanzariere per dare una carezza delicata, oppure la sua intolleranza alla bugia che la rendeva rigorosa nel somministrare durissimi rimproveri, e ancora la indicazione delle bellezze della natura anche durante la traversata a bordo del traghetto che le avrebbe portate in Grecia.
La Gentilissima Signora Donatella Cinefra ha come anelito quello di imitare in tutto e per tutto Suor Giustina Rezzaghi. Suor Giustina Rezzaghi è scomparsa nel giugno del 1966, ma sono certo che vive nel cuore di questa Gentildonna che per forza di cose la ricalca. Guardando la compostezza e la raffinatezza che risultano completamente immerse nel rigore della Signora Donatella Cinefra ho potuto avere accesso, io che non l'ho mai vista, alla sua Magister, a Suor Giustina Rezzaghi che ha segnato per sempre la vita di questa donna che ha voluto tratteggiarne il ritratto.
Tutto questo è avvenuto dopo rispetto a quello che ha rappresentato l'intervento che ha dato davvero una mole enorme di informazioni sulle donne leccesi.
La Prof.ssa Patrizia Guida autrice di uno dei volumi che viene recensito come uno dei più interessanti delle ultime settimane, pubblicato dall'editore Mario Congedo, dal titolo Scrittrici di Puglia. Percorsi storiografici femminili dal XVI al XX secolo (pp. 491, euro 28). Si tratta di una vera e propria catalogazione della letteratura femminile pugliese degli ultimi secoli.
Ce lo dice con franchezza che la sua fatica è stata motivata da una curiosità che è quella di capire per quali ragioni di queste scrittrici non c'è traccia.
Ecco che spiega e lo fa con una narrazione che è quella della ricostruzione del percorso storiografico che rappresenta una mediazione, una selezione del curatore – storico. Tale selezione è informata da un giudizio! La domanda è la seguente: quali autori consegnare alla posterità? Ed ecco che nella risposta c'è un esclusione, quella del 50% della popolazione nazionale, quella del genere femminile. E la prof.ssa Patrizia Guida fa rimbalzare la domanda che l'ha motivata, che l'ha guidata verso la risposta perché questo 50% di donne non ci sono?
C'è un concetto che vibra nella voce della prof.ssa Patrizia Guida che è quello di un repertorio non corretto filologicamente che produce un errore sistematico, che si riverbera su tutto quello che viene dopo. Perché dopo non si va più alle opere, agli autori, ma ai mediatori. Ed ecco che anno dopo anno e repertorio dopo repertorio si consolida una esclusione che è cancellazione della memoria! Un reset assurdo e colpevole, una sorta di negazione di accesso a una ricchezza espressiva e a una originalità interpretativa della realtà che comporta sottrazione di narrazione e quindi sottrazione di identità e di cultura! Un delitto davvero grande!
La prof.ssa Patrizia Guida si è limitata a descrivere tutto questo con la registrazione dello studioso, lei ha solo preso atto e registrato che vi sono state imprecisioni e omissioni.
Un dato lo fornisce comunicando che nel repertorio nazionale il meridione quasi scompare e le donne divengono invisibili, trattate al più come Autori Minori.
Un tentativo di interpretare la realtà è rappresentato da un dato antropologico dei secoli XVI e XVII poiché in quel tempo le donne scrivono per diletto, le donne figlie di famiglie nobili e borghesi scrivono per diletto perché le altre non scrivono, come peraltro non scrivono neppure gli uomini delle famiglie povere.
Inoltre c'è un ostacolo alla pubblicazione delle opere perché vedere il nome della propria figlia sui una pubblicazione rappresentava un disonore per tutta la famiglia.
Poi passa all'800 e ‘900 a dirci che ci fu a Mesagne Lina Asparra che scrisse un Inchiesta sul Femminismo nel 1911 e che si riteneva fosse figlia del Duca di Asparra di Mesagne amica di Grazia Deledda e di Benedetto Croce ma la scoperta è stata che Lina Asparra altro non era che Giuseppe Capodieci sotto mentite spoglie. Un uomo che usava un nome di donna!
L'azione di quest'uomo che scrisse dicendosi donna rappresentò un contributo all'emancipazione femminile.
E ancora imprecisioni quando si dice che a Maria Vittoria Delfina Dosi viene negata la Laurea in Giurisprudenza pur avendo superato tutti glie esami perché non ci poteva essere una donna avvocato con la motivazione che le donne non potevano accedere ai pubblici uffici.
Invece vi sono notizie di Giustina Rocca che nel 1500 al Tribunale di Trani esercitava da Avvocato e sempre al Tribunale di Trani nel 1700 c'era Maria Festa anch'ella avvocato!
Ma vi sono notizie e non le opere di scrittrici leccesi come Vittoria Colonna, Almerinda Morelli nella Lecce del 1500 e ancora Cornelia Colletta e sempre a Lecce Leonarda Vernaleone di cui abbiamo copia di un manoscritto di poesie religiose.
Ed ecco ritornare la motivazione del lavoro di ricerca della prof.ssa Patrizia Guida quel dannato “Perché?” che ti fa cominciare viaggi per terre inesplorate e che sempre per la scelta che si impone ad ogni bivio ti porta in porti che non sempre rappresentano l'approdo agognato.
Perché, ripete la prof.ssa Patrizia Guida e individua la responsabilità di chi scrive come la natura storico geografica della Puglia che è eccentrica – decentrata rispetto a Napoli, Roma, Firenze e Venezia dove la scrittura accade, o sembra accadere, un po' come oggi che se non hai passaggi televisivi ciò che è pur avvenuto risulta mai accaduto ed ecco che alcune volete si assiste non senza meraviglia che in alcuni eventi c'è un numero di Cameraman e intervistatori di gran lunga superiore agli spettatori. Ma chi non passa dalla TV non esiste, e ciò che pur è accaduto risulta mai esserci stato.
Ora come allora solo che ciò che è oggi per noi la TV allora erano le sedi di Napoli, Roma, Firenze e Venezia.
Ma vi è di più, come dicono gli avvocati quando vogliono dimostrare qualcosa non riuscendoci sempre, fino agli anni 50 in Puglia non c'era l'Università e chi doveva andare a Napoli erano i maschi, alle femmine spettava uscire di casa per prendere marito o per chiudersi in convento. Le femmine di famiglie nobili e ricche, naturalmente perché a quelle povere poteva accadere di uscire di casa per praticare la professione più antica del mondo che non ha mai conosciuto crisi.
Poi furono istituite le accademie e a Lecce quasi come profezia divenuta maledizione ecco l'avvento dell'Accademia degli Spioni!
In questa Accademia vi erano 4 donne di cui si riscontra la presenza ma che non risultarono mai iscritte nei registri dell'Accademia. Erano Francesca Viva Bonon, Caterina Belli, Isabella Castriota e Marianna Bozzi Colonna.
La traccia dell'esistenza di queste donne la nostra bella e brava prof.ssa Patrizia Guida l'ha trovata nelle raccolte delle poesie degli Spioni. Queste donne avevano accesso all'Accademia perché parenti di soci.
La dolce prof.ssa Patrizia Guida stigmatizza la figura di Isabella Castriota la cui storia è interessantissima al punto da meritare trattazione specifica e a parte!
Solo per far venire l'appetito ricordo a me stesso che costretta a farsi monaca in giovane età, a sedici anni fu data in moglie a sua insaputa, a Filippo Guarini sessantenne feudatario di Tuglie. La donna ottenne la separazione e frequentò la Lecce colta degli anni Venti del Settecento. Non poche furono all'epoca i pettegolezzi. Alla morte dell'anziano marito sposò Pietro Belli letterato. Gossip, gossip, gossip anche per questi tempi immaginiamoci in quelli che furono!
La prof.ssa Patrizia Guida ci da altri elementi che si riferiscono all'Accademia dell'Arcadia e le donne erano ammesse a patto che dessero garanzie di moralità che peraltro non erano richieste agli uomini. Su 2.400 iscritti all'accademia 14 donne e di queste solo 4 pugliesi!
Di Lecce Celina Capace Minutolo e Francesca Gallone di cui di possono leggere alcuni sonetti. Nulla invece di Maria Antonietta Scalera Stellini che a dispetto di questo nome così altisonante risulta essere figlia di un maniscalco rispetto alle famiglie nobili da cui prevenivano la Capace Minatolo e la Gallone ragione per la quale la prof.ssa Patrizia Guida sospetta l'esclusione e la cancellazione.
La questione è che contro pochi sonetti delle prime due la figlia del maniscalco pubblica nel 1600 2 Volumi, 3opere teatrali e vari saggi!
La prof.ssa Patrizia Guida conclude il suo percorso affermando che la presenza femminile è legata alla appartenenza alla Nobiltà e alla Borghesia.
Infine la prof.ssa Patrizia Guida ci fa una narrazione della seconda metà dell'800 quando il neo costituito Regno d'Italia si diede l'obiettivo di ALFABETIZZARE!
Ed eccole arrivare le donne che scrivono da donne per le donne e sulle donne!
Ma come? Scompaiono anche queste maestrie dalla penna rossa? Si! Anche loro cancellate. Pare che la qualità della scrittura femminile dell'epoca non fosse adeguata.
Poche eccezioni come quella di Iva De Vincentis che scrive di prostituzione del contesto sociale nel quale vivono le donne che subiscono un'educazione che mette al centro la sapienza dell'utilizzo del corpo finalizzato a sedurre, le donne educate a sedurre!
Poi continua sostenendo che la prostituzione segue sempre a casi di stupro e sancisce che si tratta di un reato contro la persona!
Infine Virginia Fornari che scrive una commedia brillante. La trama è quella di una donna che ha un marito magistrato e vuole esercitare la libera professione. L'epilogo è che il marito viene promosso e spedito da Milano in uno sperduto paese della Sicilia.
Ed infine la prof.ssa Patrizia Guida conclude che paradossalmente le donne sono escluse anche dalla critica femminista.
La relazione ricca e interessante è stata fatta in pochissimi minuti e mi ha lasciato con un languore che “ancor non m'abbandona”.
Sono seguiti gli interventi di Maria Gabriella de Judicibus con una affabulazione sulla Garibaldina Antonietta De Pace e una proiezione di diapositive ad opera della Dott.ssa Daniela Bacca.
Davvero una entusiasmante relazione quella della prof.ssa Patrizia Guida! Bella ed interessante!
A margine dell'incontro vi è stata la presenza di una spumeggiante Senatrice Adriana Poli Bortone che ha fatto una bella sottolineatura sulla bellezza di ogni tempo, quello della giovinezza come quello della maturità.
CREATIVITA' CONTRO TUTTE LE MALATTIE!
di Antonio Bruno
Un caldo soffocante nella sala conferenze dell'ex Conservatorio Sant'Anna a Lecce, forse ero accaldato per aver percorso in tutta fretta Via Trinchese da Piazza Mazzini sino a Piazza Sant'Oronzo e da qui per aver percorso quasi per intero il Corso vecchio sino al Conservatorio. Mi sono seduto in fondo alla sala e siccome ho visto al tavolo il collega Vincenzo Mello e poi non l'ho sentito parlare presumo che abbia detto qualcosa che purtroppo mi sono perso, e ne sono dispiaciuto, e per questo stesso motivo non posso scriverne in questa sede.
La sede è quella della Tavola rotonda sul tema “Oltre il relativismo: alla ricerca di mondi possibili, verso la città della gioia”. A cura di Laura Madonna Indelicati che ho rivisto volentieri e che soprattutto ho riascoltato volentieri. Delicata, raffinata e sempre pronta a porgere spunti di riflessione a proporre frammenti per la meditazione.
Io comincio dalla fine della Tavola rotonda e quindi dalle proposte di Laura Madonna Indelicati. Il tema della SPERANZA.
Per riappropriarci del “sé” ci salviamo nella speranza oppure secondo il modello della Grecia Classica perseguendo la felicità attraverso la coscienza e l'arte di vivere?
La tavola rotonda è stata conclusa da questa bella domanda .
Io ho ascoltato solo il Dott. Vincenzo Ampolo che ha esordito con “il giardino” inteso come simbolo dell'armonia, la stessa che è in un albero per cui ci sono delle energie sotterranee che ne influenzano la crescita. L'importante è che l'albero non cresca in maniera disarmonica. L'albero se lasciato crescere senza che l'uomo intervenga trova da solo la sua armonia, lo dice il collega Prof. Dott. Agr. Vincenzo Mello intervenendo.
Il dott. Vincenzo Ampolo riferisce di essere stato etichettato come relativista culturale per aver affermato che siamo un terreno dove il bene e il male lottano tra di loro.
Riferisce di uno Studio Simulato sulla Psicologia della Vita in Prigione Condotto presso la Stanford University di cui potete leggere tutto ciccando su http://www.prisonexp.org/italian/indexi.htm , lo fa perché questo esperimento dimostra che i ruoli che si attribuiscono alle persone determinano e motivano i comportamenti. Ragazzi amabilissimi divennero feroci aguzzini!
Il dott. Vincenzo Ampolo afferma in sintesi che i fattori situazionali influenzano il comportamento delle persone.
E si chiede se questo possa considerarsi relativismo. Parla delle parole, dell'attenzione che bisogna mettere nell'uso delle parole e dei valori che ammette che non sempre siano condivisi.
Laura Madonna Indelicati aveva lanciato la forte suggestione dell'apparenza. Il dott. Vincenzo Ampolo ritiene che sia ovvio che i giovani vivano di apparenza e ne attribuisce la responsabilità agli adulti. In pratica per il dott. Ampolo sono gli Adulti che hanno portato i Valori che hanno i giovani e tra questi quello di apparire. Per avvalorare la sua tesi cita il Grande Fratello che costituisce una realtà in questo periodo.
Cita Battiato con il suo “Centro di gravità permanente” che sarebbe ciò che cercano i giovani. Riferisce della difficoltà di rispondere alla domanda “Cosa farò da grande” alla fine delle Scuole medie quando cominciano a venire meno le certezze della fanciullezza perché i genitori divengono anziani e loro, gli adolescenti, vanno fuori per cercare il gruppo di pari e qualcuno di cui innamorarsi.
Secondo il dott. Vincenzo Ampolo ci vogliono modelli per i giovani. Cita quello che accade negli Indiani d'America che vedono l'anziano approssimarsi al letto dell'adolescente e raccontargli prima che prenda sonno, quando si è in uno stato alterato di coscienza, i miti e le usanze. Il vecchio indiano gli parla della caccia, gli parla delle piante della loro funzione per la nutrizione degli uomini e per la cura degli uomini.
Il dott. Vincenzo Ampolo ci narra come i giovani vivono il loro corpo, riferisce che il corpo è visto dai giovani come un nemico perché i modelli sono difficili da raggiungere. Barbie è magra e nello stesso tempo ha delle curve nel corpo che sono inconciliabili con la sua magrezza. Come può una ragazza di oggi imitare il modello Barbie?
Le ragazze non ci riescono e secondo il dott. Vincenzo Ampolo, si rifugiano nel virtuale. Ed è come se le sentisse parlare nel loro profondo, il dialogo interiore delle ragazze che si dicono tra sé e sé “così non mi avvicino a lui e quindi lui non mi guarda!” ed ecco esplodere Second Life (Seconda vita) ed ecco imperare TV, Internet e telefonini in maniera tale da avere una relazione senza la fisicità. Relazione tra anime che non accettano di avere un corpo, che lo rifiutano e che preferiscono immaginarsi il proprio corpo diverso da quello che hanno, che è perfetto così com'è ma che non corrisponde al modello impossibile da imitare, senza mimesi e preferiscono immaginarsi il corpo dei propri interlocutori.
Un'adolescenza lunghissima con sessualità precoce, tutto perché non c'è lavoro e rimangono in casa.
L'uso delle sostanze, sono tantissime e i ragazzi si fanno di tutto. I servizi psichiatrici fanno il servizio di doppia diagnosi perché i ragazzi che usano sostanze hanno anche problemi psichici e psichiatrici.
Ma cosa possiamo fare noi?
Parlare!
L'ascolto empatico che poi è la relazione d'aiuto. Possiamo far si che i giovani siano autonomi che non abbiano dipendenze soprattutto con noi adulti. Quindi una relazione empatica che consiste nel parlargli e a questo segue lui che parla e in tal modo di fatto lo aiutiamo.
Si sviluppa così l'aspetto critico che smitizza le sostanze sapendo che tutte le sostanze sono pericolosissime e che non esiste nulla di leggero o pesante ma tutto è MORTALE!
E soprattutto acquisire un set creativo fatto di arte, musica ecc.
Dice il dott. Vincenzo Ampolo che ha fatto un sogno: una bottiglia con una etichetta e li, sull'etichetta, c'era scritto “CREATIVITA' CONTRO TUTTE LE MALATTIE!”
Serve a dare valore a tutte le istanze che provengono dal profondo e a lasciare sullo sfondo, ma molto sullo sfondo quelle che provengono dalla società.
Vuoi continuare? Giovedì 9 aprile 2009 alle ore 18.00 presso l'ex Conservatorio Sant'Anna c'è il laboratorio di scrittura. Più creativo di così?
Archeoagronomia Consociazione delle piante nel meridione
Ricerche a cura di Antonio Bruno*
Nel 1902 la consociazione è possibile nei pressi dei centri abitati per la utilizzazione su larga scala sia dei rifiuti solidi che delle acque di fogna nera che si praticava nei “ciardini” della città di Lecce. La consociazione pur sconsigliata per le colture arboree vite e olivo in alcuni casi è praticamente realizzabile.
Racconta Plinio che a Tacapo, nelle vicinanze di Tripoli, ombreggiandosi l'un l'altro prosperavano la palma, l'ulivo, il fico, il melograno, la vite; mentre al di sotto il terreno produceva cereali, ortaglie ed altro.
Il prof. Fernando Vallese annota che se al posto della palma si mettesse il mandorlo la descrizione di Plinio sembrerebbe riguardare gli orti (ciardini) che si trovano nei dintorni di Lecce. Anche questa annotazione ci conduce a considerare il fatto che nel 1902 la palma non fosse presente nel nostro territorio e che sia stata introdotta solo successivamente dopo che l'Italia ha partecipato alla stagione coloniale con Somalia, Etiopia, Abissinia e Libia.
Lo stesso prof. Vallese si schernisce affermando che la considerazione che aveva scritto non era stata fatta per “sdrucciolare” in una discussione di espansione coloniale di cui evidentemente si andava discutendo in quegli anni, ma per dimostrare che nel nostro clima la consociazione può essere spinta in quanto c'è un abbondanza di luce e calore precisando che il “busillis” (ricordo a me stesso che Busillis è un termine che ha assunto il significato di "problema spinoso e di difficile soluzione", "punto dolente della questione". Deriva da un'errata sillabazione della frase latina in diebus illis (in quei giorni o a quel tempo). Da qui le espressioni "non venire a capo del busillis" o "qui sta il busillis".) ciò è valido a condizione che non manchi il concime e che le piante messe a dimora non sfruttino eccessivamente il terreno inaridendolo.
Il Cav. Prof. Vallese riferisce poi di un orto di circa un ettaro alle porte della città di Lecce dove lo stesso ha potuto censire:
Mandorli Numero piante 39
Fichi Numero piante 30
Melograni Numero piante 20
Peschi Numero piante 25
Fichi d'India Numero piante 40
Carciofi Numero piante 800
Sul terreno, poi sfilano senza interruzione come in un cinematografo: rapecavole, cicorie di Brindisi, finocchi, lattughe, fave, piselli, patate, pomidori, zucche, meloni, melanzane, peperoni, agli, cipolle, broccoli, cavolfiori e l'elenco si ferma solo perché il prof, Vallese aggiunge un eccetera, eccetera.
La situazione diviene davvero interessante quando il Cav. Prof, Ferdinando Vallese precisa che ciò è possibile solo nelle vicinanze della città. Quindi nelle campagne distanti era impossibile vedere nello stesso appezzamento quel numero esorbitante di piante che il professore aveva avuto modo di censire nell'orto di cui ho riferito in precedenza.
La spiegazione sta nel fatto che questi orti possono produrre tutto quel “ben di Dio” perché ricevono dalla città il POZZO NERO e LE SPAZZATURE. Insomma nel 1902 non esisteva il problema dei rifiuti, esisteva invece LA RICHIESTA DEI RIFIUTI!
Si parla tanto di agricoltura sostenibile ma il brano tratto dai Miserabili di Victor Hugo che segue è l'affermazione più bella :
“mucchi di immondizie raccolti agli angoli delle vie, le bigonce trabalzate per via durante la notte, le fetide botti della nettezza urbana, i luridi scoli di melma sotterranea che il selciato vi nasconde, sapete che cosa sono? Sono i prati fioriti, l'erba verde, il timo, la salvia; sono la selvaggina, il bestiame, il muggito dei buoi alla sera, il fieno odoroso, il frumento dorato, il pane sulla nostra tavola, il sangue caldo nelle nostre vene, la salute, la gioia, la vita. Così vuole quella misteriosa creazione che è trasformazione sulla terra e trasfigurazione in cielo.
Raccogliete quegli avanzi nel gran crogiuolo, e ne uscirà la vostra abbondanza. Nutrire la terra è nutrire gli uomini.
Voi siete padroni di perdere tale ricchezza e di ritenermi ridicolo; ma questo è il capolavoro della vostra ignoranza.
Le statistiche hanno calcolato che la sola Francia, per la bocca dei suoi fiumi, versa ogni anno all'Atlantico mezzo miliardo.
Notate che con quei cinquecento milioni si pagherebbe un quarto delle spese del bilancio. Ma l'abilità dell'uomo è tale che preferisce sbarazzarsene gettandoli nell'acqua. E' la sostanza del popolo che viene portata via, qui a goccia a goccia, là a ondate, dal miserabile vomito delle nostre fogne nei fiumi, e dal gigantesco vomito dei fiumi nell'oceano. Ogni fiotto di spurgo delle nostre cloache ci costa mille franchi. Per questo la terra diventa povera e l'acqua inquinata; la fame esce dal solco e la malattia dal fiume.”
Il Prof. Vallese precisa che le parole che precedono sottolineano una perdita di 25 milioni di Lire del 1902 gettati nelle fogne e trasportati dalla Senna al mare sotto forma di concime che non sarebbero state necessarie per gli ortolani leccesi del 1902 in quanto gli stessi conoscono già da gran tempo la “ricchezza delle immondizie” che, afferma il Prof. Vallese, permette loro di trarre dai loro orti il ben di Dio che ne traggono.
Ecco perché il prof. Vallese sostiene che la consociazione delle piante è strettamente legata all'uso della sostanza fertilizzante che all'epoca era dipendente dalla vicinanza ai centri urbani e quindi man mano che ci si allontanava da quest'ultimi la capacità di “reggere le consociazioni” dei terreni si riduceva sempre più perché non essendo sufficienti le concimazioni un terreno che può nutrire una pianta sola non può nutrirne di più contemporaneamente.
Il prof. Vallese prosegue affermando che la diversa profondità a cui giungono le radici delle piante consociate può moderare questa legge appena affermata ma no n distruggerla del tutto perchè se due piante, una a radice superficiale e un'altra a radice profonda possono nello stesso terreno vivere da buone amiche traendo il nutrimento da due strati differenti, occorrerà poi una concimazione doppia per ripristinare la fertilità di tutto lo strato di terreno sfruttato dalle due piante.
Inoltre bisogna tenere conto anche della siccità di queste nostre terre che è tanto più forte quanto più il terreno è sciolto, poco profondo e calcareo. C'è anche la forte incidenza della prevalenza dei venti caldi ed asciutti che aumentano grandemente l'evaporazione unitamente alle alte temperature estive e naturalmente dalla quasi assenza della pioggia nei mesi estivi.
Quindi se una delle specie consociate, aggiunge il prof. Vallese ha una ampia superficie fogliare evapotraspirante sarà come una pompa che attingerà acqua dal suolo e in questo modo l'altra pianta consociata sarà più sensibile alla siccità.
Dopo tale premessa il prof. Vallese pur ammettendo che nella penisola salentina si praticano moltissime consociazioni fissa la sua attenzione su due di queste e specificamente quelle che si praticano con la vite e l'olivo con piante erbacee.
Il Cav. Prof. Ferdinando Vallese ci fa sapere che la vite si coltiva quasi ovunque come coltura specializzata senza consociarla soprattutto quando il vigneto si trova nelle fasi di vita di maggiore produzione. Ma nello steso tempo precisa che in provincia si nota la consociazione della vite con il pisello oppure peggio con piante cereali nelle nuove piantagioni (pàstini: I piccoli appezzamenti coltivati sono piani o leggermente declivi, mentre le zone collinari e le ripide pendici che scendono verso il mare sono spesso sistemate a terrazze appunto i pastini) oppure quando il vigneto è alla fine del suo ciclo produttivo per vecchiaia ed è prossimo ad essere estirpato e in questo caso è possibile consociare poiché la vite è giunta oramai alla fine del suo ciclo produttivo e prossima ad essere estirpata potrebbe essere possibile la consociazione della vite con il pisello ma non con i cereali perché restano per un tempo più lungo sul terreno e perché ne provocano un disseccamento più forte e più prolungato.
Il Prof. Vallese passa poi a illustrare le consociazioni con l'olivo nella terra del salento afermando che in quell'epoca era comune la consociazione sia con il lupino, trifoglio incarnato, la trigonella fieno greco, la fava e il pisello tra le erbacee leguminose; il frumento, l'orzo, l'avena, il miglio e il sorgo da scopa tra le graminacee; il cotone e il lino tra le piante di altre famiglie.
Il prof. Vallese precisa che in alcuni oliveti alcune di queste piante si succedono regolarmente e si succedono come sui terreni non alberati e in questo caso il prof. Vallese sostiene che tale consociazione può essere utile in quanto l'olivo approfitta dei lavori effettuati alle piante consociate, ma allo stesso tempo il professore suggerisce una reintegrazione degli elementi fertilizzanti perché le colture consociate non fanno altro che sottrarne quantità che se non integrate rendono poco fertile il terreno a scapito dell'olivo stesso. Si aggiunge che nel caso delle leguminose ci sarebbe una certa reintegrazione se si Attuasse il sovescio alo piede di ogni pianta per un raggio di uno o due metri, invece per i cereali nulla viene integrato perché si raccolgono interamente lasciando al terreno solo le radici poca stoppia.
In conclusione pur sconsigliando la consociazione delle piante erbacee con l'olivo a livello teorico, il prof. Vallese dice che è attuabile praticamente a patto di restituire con le concimazioni al terreno gli elementi nutritivi sottratti dalle colture erbacee. Inoltre la consociazione è tanto più praticabile quanto meno le piante erbacee permangono ne periodo estivo perché in quest'ultimo caso si prosciugherebbe il terreno aggravando la siccità nelle annate calde e asciutte.
*Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
dott. Agr. Antonio BRUNO
Esperto in Diagnostica Urbana e Territoriale
Via Vittorio Emanuele III, n° 160
73016 SAN CESARIO DI LECCE
TEL 0832200708
Cell. 3398853904